20.01.2023 Icon

Leasing ante riforma: Milano conferma ancora una volta la legittimità della clausola penale

Il 2022 ha chiuso i battenti lasciandoci in eredità un’ulteriore e interessante sentenza in tema di leasing.

Si tratta, in particolare, della decisione del Tribunale di Milano, che con sentenza del 03 novembre 2022 si è soffermato sull’infondatezza della “censura inerente la pretesa nullità ed illegittimità della clausola penale”, chiarendo che “La valenza del regolamento d’interessi ai fini della regolamentazione delle conseguenze dell’inadempimento è stata ripetutamente affermata da questo Tribunale reputandosi senza dubbio più corretto – in ossequio all’art. 1322 c.c. [c.d. principio di autonomia contrattuale] – attribuire rilievo ad esso purché conforme ai limiti di liceità ed ai principi generali dell’ordinamento”.

In questa prospettiva, il Tribunale meneghino ha precisato anche come tale “conclusione è conforme a quanto statuito dalla recente pronuncia nr. 2061/21 resa dalle SS.UU.”, poiché la Suprema Corte, sulla premessa che la complessa disciplina di cui all’art. 1526 c.c. mira a porre nel leasing traslativo un “limite al dispiegarsi dell’autonomia privata laddove questa venga a determinare arricchimenti ingiustificati del concedente”, nel senso che in caso di risoluzione il rischio potrebbe essere quello che il Concedente consegua più di quanto avrebbe avuto diritto di ottenere nel caso di fisiologica attuazione del contratto, ha risolto il problema di diritto intertemporale escludendo sia l’efficacia retroattiva della legge n. 124/2017, che ha codificato il contratto di locazione finanziaria, sia la sua applicazione in via di analogia. 

Questo, infatti, è quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione: “La L. n. 124/2017, che reca una definizione unitaria di leasing, non ha effetti retroattivi con la conseguenza che, in relazione ai contratti conclusi anteriormente alla sua entrata in vigore, resta valida la distinzione tra leasing di godimento e traslativi”.

In tale contesto, è forse il caso di ricordarlo, La Suprema Corte aveva altresì precisato che limite temporale per l’applicazione della novella è stato individuato nel verificarsi, alla data della sua entrata in vigore, dei presupposti (legali o convenzionali) dell’inadempimento dell’utilizzatore, con la conseguenza che in caso di risoluzione contrattuale intervenuta in epoca anteriore, continuerà a trovare applicazione in via analogica l’art. 1526 c.c. 

Il che, ci conduce alla recente sentenza del Tribunale di Milano, secondo cui in ipotesi di contratti di leasing risolti anteriormente alla riforma di cui alla L. 124/2017, ammessa l’applicabilità in via analogica dell’art. 1526 c.c. (secondo cui “Se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore [nel caso del leasing è l’utilizzatore], il venditore [nel caso del leasing è la società concedente il bene in locazione finanziaria] deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno”), è pur sempre possibile bypassare il dictat della norma in presenza di una clausola penale, la cui legittimità è frutto delle seguenti considerazioni:

  • l’orientamento di legittimità formatosi a riguardo ha fornito risposta positiva al quesito laddove la pattuizione – ormai presente nella totalità dei contratti di locazione finanziaria – preveda, a fronte del diritto del concedente di esigere a titolo di danno il valore dei canoni a scadere attualizzati, l’accredito a favore dell’utilizzatore, dell’importo ricavato – o da ricavarsi – dalla vendita del bene al netto di tasse e spese una volta eseguita la riconsegna dello stesso. In tal modo si evita l’ingiustificato arricchimento del concedente ed il connesso pregiudizio dell’utilizzatore risultando la disciplina pattizia funzionale a garantire il medesimo risultato che sarebbe conseguito alla fisiologica attuazione dell’accordo originario”;
  • L’indennizzo di cui all’art.15 delle condizioni generali del contratto allegato è conforme allo schema e rappresenta, in sostanza, il lucro che la società concedente avrebbe ottenuto legittimamente se il contratto fosse stato puntualmente eseguito: ciò esclude qualsiasi indebita locupletazioneConsegue il rigetto della censura e la condanna della convenuta alla restituzione degli immobili quali indicati nell’atto introduttivo”.

Dunque, ancora una volta, spazio all’autonomia contrattuale e alla volontà delle parti trasfusa nel regolamento negoziale, quale elemento in grado cambiare il destino di una controversia che sembrava ormai segnata dalla soccombenza.

Autore Francesco Concio

Partner

Milano

f.concio@lascalaw.com

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