28.03.2011 Icon

Riflessioni su trust e categorie civilistiche

– di Cristiano Cicero, in Giurisprudenza Commerciale, n.37.6/10. pag. 899/I

Il trust è un istituto che, ormai, ha trovato pieno riconoscimento anche nella tradizione civilistica continentale, tra cui quella italiana, a dispetto del principio cardine dell’assolutezza ed inframmentabilità del diritto di proprietà, come riconosciuto da questi tipi di ordinamenti.
Il trust (letteralmente "affidamento") trova origine nei sistemi di common law ed è stato oggetto di studio da parte della giurisprudenza e della letteratura italiana sin dall’inizio del secolo scorso, sebbene l’attenzione su di esso sia divenuta sicuramente maggiore a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 (resa esecutiva dalla L. 16 ott. 1989 n. 364).
Il trust, per la versatilità e flessibilità da cui è caratterizzato, si presta a regolare una molteplicità di rapporti giuridici di natura patrimoniale e alle finalità più disparate; si passa dall’isolamento e protezione di patrimoni, alle gestioni patrimoniali controllate e se ne rinvengono molteplici utilizzi anche in ambito successorio, pensionistico, societario e fiscale. Per dette ragioni, nonché a fronte della possibilità che la singola fattispecie venga addirittura disciplinata (per concorde volontà dei soggetti coinvolti) da norme di uno stato terzo, non è fuori luogo affermare che non esiste un’unica tipologia di trust, sebbene in ognuna di queste siano sicuramente riscontrabili caratteri comuni ed essenziali.
A seguito del perfezionamento di un trust, si instaura un rapporto fiduciario tra i due soggetti necessariamente coinvolti: il settlor, ovvero il disponente, ed il trustee, ovvero il soggetto deputato all’amministrazione delle utilità conferite. Scopo dell’istituto è quello di creare una sorta di segregazione patrimoniale di taluni beni o diritti che verranno poi amministrati nell’interesse di un beneficiario (beneficiary); a tal proposito, si parla atecnicamente di “doppia proprietà” (dual ownership) proprio per chiarire l’effetto principale che ne discende, difficilmente spiegabile in base ai canoni tradizionali operanti nell’ordinamento italiano. Infatti, i beni “trasferiti” al trustee costituiscono un patrimonio separato rispetto a quello di quest’ultimo e non possono essere escussi dai creditori del trustee, del disponente o del beneficiario.
Il trust trova origine da un negozio unilaterale, inter vivos o mortis causa, al quale vanno ad affiancarsi comunemente uno o più atti dispositivi; questo perché, come accennatoi, non esiste un rigido ed unitario modello di trust, ma tanti possibili schemi da costruire. Così, a titolo esemplificativo, il trust potrà avere finalità liberale o non, commerciale (soprattutto a scopo di garanzia), e potrà al limite essere anche revocabile (in tal caso è il settlor che si riserva la facoltà di revocare l’attribuzione o il vincolo dei beni).
L’istituto viene sostanzialmente “confezionato” in base allo scopo che concretamente il disponente intende perseguire nonché in base alla tipologia di gestione dei beni che si intende conferire; a seconda dei casi, sarà possibile rinvenire analogie e punti di contatto con istituti presenti e disciplinati nel nostro ordinamento.
Si pensi, ad esempio, al negozio fiduciario, al mandato, alla fondazione; ed ancora, al fondo patrimoniale, alla sostituzione fedecommissaria o, più in generale, a tutti quegli atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela.
La separazione patrimoniale discendente dal trust ha posto non pochi interrogativi sulla legittimità dell’istituto e, soprattutto, sulla sua compatibilità con la disciplina codicistica della responsabilità patrimoniale. Secondo una corrente di pensiero, l’art. 11 della Convenzione dell’Aja, stabilendo che i creditori del trustee non possano rivalersi sui beni in trust e che quest’ultimi siano segregati rispetto al patrimonio del trustee in caso di sua insolvenza o fallimento, violerebbe appunto l’art. 2740 cod.civ.; sostanzialmente verrebbe limitata con fonte patrizia, peraltro unilaterale, la responsabilità (illimitata) del debitore. Contrapposta alla suddetta dottrina quella che fonda la legittimità del trust basando il proprio convincimento sull’assenza (nel nostro codice civile) di una disciplina positiva del patrimonio nonché sulle incontestabili ipotesi di separazione patrimoniale già regolamentate dalla normativa interna (fondazioni, eredità giacente, fondo patrimoniale, società fiduciarie, s.i.m., fondi speciali di previdenza, ecc); di conseguenza andrebbero ridimensionati e ripensati i principi di indivisibilità e responsabilità illimitata patrimoniale.
L’ulteriore disputa dottrinaria riguarda l’inquadrabilità o meno del trust nei rapporti di durata, anche se il conflitto sembra ormai essere volto a termine e la risposta debba essere positiva, non potendosi revocare in dubbio che, nell’istituto, la determinazione della prestazione sia appunto in funzione del tempo.
Quanto, infine, all’esigenza di pubblicità del vincolo che col trust viene a costituirsi sui beni oggetto di disposizione, il dibattito è tuttora aperto, ferma restando la contrapposizione tra chi ritiene necessario trascrivere il vincolo alla stregua di un ordinario negozio giuridico con effetti reali e chi, invece, sostiene l’efficacia meramente obbligatoria dell’istituto, da cui discenderebbe un diritto reale atipico incompatibile con le fattispecie per le quali il legislatore ha previsto tassativamente la formalità della trascrizione (art. 2643 e ss. cod.civ.).
Alla luce dei dubbi interpretativi evidenziati e, soprattutto, applicativi tuttora irrisolti, va quindi salutata positivamente l’iniziativa legislativa (assunta con legge Comunitaria nel corso del 2010 – disegno di legge n.2322, approvato dal Senato della Repubblica il 2 febbraio 2011) che, delegando il Governo a introdurre e a disciplinare nell'ordinamento giuridico italiano l'istituto del trust, dovrebbe apportare delle modifiche al codice civile in materia di disciplina della fiducia e del contratto autonomo di garanzia, colmando così il vuoto normativo del nostro sistema giuridico.

(Alessandro Rendina – a.rendina@lascalaw.com)