In materia di nullità delle fideiussioni omnibus per violazione della normativa “antitrust”, la recente sentenza della Corte d’Appello di Brescia – pubblicata il 14 aprile 2025 – offre un contributo chiaro e netto in materia di validità delle fideiussioni bancarie rilasciate sulla base del Modello ABI 2003, ma al di fuori dal cosiddetto “periodo di accertamento”.
Nel rigettare la prospettazione del garante – appellante, infatti, la Corte bresciana ha assunto una posizione particolarmente rigorosa.
In primo luogo, il Collegio si è soffermato sul fatto che la questione della nullità sia stata sollevata solo in grado di appello e che i documenti prodotti – il provvedimento della Banca d’Italia e lo schema ABI – risultino pertanto tardivi e, come tali, inammissibili ai sensi dell’art. 345 c.p.c.
Quindi, la Corte ha affrontato il profilo della possibile rilevabilità d’ufficio della nullità, ribadendo che la stessa è preclusa in assenza di tempestiva produzione documentale, come confermato dalla recente giurisprudenza di legittimità secondo la quale: “è precluso il rilievo officioso della nullità in appello se la parte interessata non ha tempestivamente prodotto il provvedimento della Banca d’Italia ed il modello ABI cui lo stesso fa riferimento onde documentare la conformità a detto modello delle clausole contrattuali del contratto di fideiussione ritenuto nullo appunto in ragione di detta conformità” (cfr. da ultimo, Cassazione n. 1851/2025).
Ancora, la Corte si è soffermata sulla questione della distanza temporale tra la fideiussione oggetto di causa (stipulata nel 2010) e l’arco di tempo esaminato dall’Autorità (2003 -2005).
Secondo il Collegio, infatti, l’efficacia dell’intesa vietata non può essere traslata automaticamente nel tempo, in particolare: “non si può presumere la qualificazione tout court delle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione quali intese illecite, posto che il provvedimento di Banca d’Italia ha riguardato lo specifico schema ABI, risultato contrario alla normativa antitrust, e non il complessivo apparato di tali norme in tema di fideiussione.”
In altre parole, la semplice presenza delle clausole contestate non basta a rendere nullo il contratto se non è dimostrata la loro derivazione concreta da un’intesa ancora perdurante al momento della stipula, più precisamente: “non si può attribuire al provvedimento di Banca d’Italia n. 55/2005 valore di prova presuntiva, posto che tale valenza può essere riconosciuta solo con riferimento al comportamento accertato e alla posizione rivestita sul mercato ed al suo abuso per il periodo 2002-2005, ma non riguardo ad una eventuale sussistenza dell’intesa restrittiva con riguardo alla fideiussione in esame, stipulate in un periodo ben lontano.”
Di qui, viene ribadito che la presenza delle clausole all’interno del contratto di fideiussione non implica automaticamente la violazione della normativa antitrust in quanto “ben può ricondursi all’esercizio del potere contrattuale del contraente predisponente le condizioni generali del contratto di inserire delle condizioni derogatorie rispetto al regime civilistico e a tutela del credito oggetto di garanzia, interesse senz’altro meritevole ai sensi dell’art. 1322 co. 2 c.c.”.
Si tratta, dunque, di una scelta negoziale che – in assenza di ulteriori elementi – appare pienamente lecita, fondata sull’autonomia privata e sulla legittima tutela dell’interesse creditorio.
Tant’è che il Collegio cosi ha concluso: “In sostanza, la giustificazione della presenza delle predette clausole, a distanza di anni dal provvedimento della Banca d’Italia, non può essere necessariamente correlata alla intesa oggetto di quell’accertamento, alla protrazione dei suoi effetti ovvero alla esistenza di una nuova intesa lesiva del mercato, di cui non si hanno elementi se non l’invocato provvedimento quale “prova privilegiata”, ben potendo tale giustificazione essere rinvenuta nella rilevanza di tale clausole nell’economia del contratto attesa la liceità in sé del comportamento dell’istituto bancario nel predisporre un regolamento contrattuale derogativo del sistema codicistico e di maggior tutela rispetto alle ragioni del proprio credito. In considerazione di quanto premesso il Collegio rigetta il secondo motivo di appello.”
In sintesi, la Corte d’Appello ha definitivamente escluso la possibilità di estendere automaticamente nel tempo gli effetti invalidanti di un’intesa antitrust accertata molti anni prima, senza una puntuale dimostrazione della sua efficacia perdurante nel tempo. In assenza di una simile prova, infatti, le clausole contrattuali risultano pienamente lecite, anche se standardizzate.
Corte d’Appello di Brescia, sentenza n. 385/2025 pubbl. il 14/04/2025.