Con la sentenza n. 1588 del 2024, il Tribunale di Catanzaro ha precisato che in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, qualora parte opponente svolga una domanda riconvenzionale inerente ulteriori rapporti bancari non oggetto di decreto, è onere di quest’ultima provare i fatti costitutivi della propria pretesa.
Nel caso di specie una società correntista proponeva opposizione a un decreto ingiuntivo ottenuto da un Istituto di credito e avente ad oggetto il saldo debitore derivante da un rapporto di conto corrente.
Parte opponente avanzava una domanda riconvenzionale di ripetizione inerente ulteriori rapporti bancari, che non erano stati azionati dalla banca in via monitoria.
In corso di causa veniva disposta CTU contabile ed il perito incaricato dal Giudice predisponeva due ipotesi di conteggio: una limitata ai rapporti bancari oggetto di decreto ingiuntivo e un’altra che considerava anche gli ulteriori rapporti bancari contestati dalla correntista in via riconvenzionale.
All’esito del giudizio, il Magistrato ha ritenuto di aderire alla prima ipotesi della CTU, più favorevole per la banca, segnalando come la seconda ipotesi – che accoglieva la pretesa di ripetizione della parte opponente avanzata in via riconvenzionale – non poteva essere tenuta in conto, dal momento in cui la correntista non aveva adeguatamente documentato i rapporti bancari dalla stessa contestati.
Il Giudice ha argomentato la propria decisione evidenziando che “la domanda riconvenzionale di ripetizione avanzata dalla correntista non può trovare accoglimento, in quanto non provata, non avendo la stessa prodotto in giudizio i contratti relativi ai rapporti bancari dedotti con l’atto di citazione.
Nei rapporti di conto corrente bancario, infatti, il cliente, che agisca per ottenere la restituzione della somme indebitamente versate in presenza di clausole nulle, ha l’onere di provare l’inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole, senza potere invocare il principio di vicinanza della prova al fine di spostare detto onere in capo alla banca, tenuto conto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione (cfr. Cass. civ, sez. VI, 13 dicembre 2019, n. 33009).
In particolare, nei casi in cui sia il correntista ad agire in giudizio per la ripetizione dell’indebito nei confronti dell’istituto in considerazione delle somme indebitamente versate alla banca a titolo di interessi anatocistici e/o usurari, oltre che di commissioni e spese asseritamente non dovute, incombe sullo stesso, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2697 c.c., l’onere di provare i fatti posti a corredo della domanda, vale a dire di dimostrare l’esistenza di specifiche poste passive del conto corrente oggetto di causa rispetto alle quali l’applicazione degli interessi anatocistici e/o usurari, oltre che di commissioni e spese asseritamente non pattuite, avrebbe determinato esborsi maggiori rispetto a quelli dovuti (cfr. Cass. civ., 7 maggio 2015, n. 9201).
In tema di ripetizione di indebito opera, infatti, il normale principio dell’onere della prova a carico dell’attore, il quale, quindi, è tenuto a dimostrare sia l’avvenuto pagamento sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (Cass. 27 novembre 2018, n. 30713; con specifico riguardo alla ripetizione in materia di conto corrente bancario: Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948)”.
In forza di tale condivisibile ragionamento, la domanda riconvenzionale avanzata dalla correntista opponente è stata integralmente rigettata.