24.05.2024 Icon

Euribor: la Cassazione torna sui propri passi

Dopo aver, a dicembre 2023, affermato la nullità del tasso applicato ad un contratto di leasing determinato facendo riferimento all’Euribor, la Corte di Cassazione pare avere cambiato idea.

Infatti, con la sentenza in commento, i giudici di legittimità, pur in assenza di contestazioni specifiche, hanno ritenuto di dover dettare principi di diritto in tema di validità della c.d. “clausola Euribor” sul tasso degli interessi, rilevando la necessità di rimeditare una delle premesse poste a fondamento dell’unico precedente della Corte, peraltro adottato, non in forma solenne, ma con mera ordinanza.

In primo luogo, la Corte si è interrogata se effettivamente i contratti di mutuo che fissano tassi di interesse con rinvio al parametro dell’Euribor, possano considerarsi contratti cd. “a valle” rispetto alle intese restrittive della concorrenza dirette ad alterare l’Euribor, sanzionate con la nota decisione della Commissione Europea del 2013. Ebbene, la risposta data oggi della Cassazione, in contrasto con quanto statuito a dicembre scorso, è negativa.

Infatti, per restare nell’ambito dello schema tracciato anche di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 41994 del 2021, più sopra richiamata, affinché possa ritenersi che, in un contratto (cd. “a valle” dell’intesa), sia fatta “applicazione” di una illecita intesa (o pratica non negoziale) restrittiva della concorrenza esistente “a monte”, occorre quanto meno che uno dei contraenti sia a conoscenza dell’esistenza di quella determinata intesa (o pratica non negoziale) con un determinato oggetto e un determinato scopo e intenda avvalersi del risultato oggettivo della stessa”.

In altre parole, il riferimento, in un contratto, al parametro dell’Euribor potrebbe assumere carattere illecito soltanto qualora l’istituto mutuante avesse consapevolmente voluto fare riferimento al parametro “alterato” da pratiche anticoncorrenziali. Peraltro, sempre secondo la Corte, anche se le intese avessero effettivamente raggiunto lo scopo di alterare l’Euribor, “in tal caso, ad evitare gli effetti distorsivi del mercato derivanti dalle intese o pratiche illecite volte ad alterare l’Euribor, deve ritenersi che siano sufficienti i rimedi negoziali dell’ordinamento interno. Di conseguenza, non è necessario invocare i rimedi apprestati dall’ordinamento di origine sovranazionale in tema di concorrenza e, in particolare, quelli di cui all’art. 2 della legge n. 287 del 1990 ed all’art. 101 TFUE”.

Infatti, la clausola che rinvia al predetto parametro deve ritenersi valida, sotto il profilo della regolare formazione della volontà negoziale e della liceità, possibilità e determinabilità dell’oggetto del contratto. Esclusivamente nel momento in cui il parametro divenga inidoneo a costituire l’espressione della volontà negoziale delle parti (anche solo per un determinato periodo), perché alterato a causa di fatti illeciti posti in essere da terzi, allora “l’oggetto della clausola contrattuale, se il valore “genuino” e non alterato del dato di riferimento esterno non sia ricostruibile, sarà di impossibile determinazione e la clausola stessa dovrà ritenersi viziata da parziale nullità (originaria o sopravvenuta, a seconda dei casi), limitatamente al periodo in cui manchi il predetto dato”.

Dunque, la cd. “clausola Euribor” – anche in caso di accertamento di pratiche illecite dirette ad alterare il suo valore – non può dirsi di per sé nulla perché costituente “applicazione” di un’intesa illecita, restrittiva della concorrenza, salvo il caso in cui almeno uno dei contraenti abbia consapevolmente voluto avvalersi degli effetti dell’illecita alterazione. In tale ipotesi, la clausola sarà affetta da nullità parziale, ove non sia possibile ricostruire il parametro “genuino” non alterato, ossia quello effettivamente voluto dalle parti. Detto secondo le parole della Corte: “Essa, però, potrebbe risultare viziata da parziale nullità per impossibilità di determinazione del suo oggetto, se ed in quanto l’intesa illecita vietata abbia in sostanza ed in concreto fatto venir meno o, se non altro, reso incompatibile con l’autoregolamentazione degli interessi delle parti oggetto del contratto stipulato, il parametro esterno di riferimento da queste effettivamente voluto (cioè, quello “genuino” e non quello “alterato”) e nei limiti in cui il parametro genuino non sia ricostruibile”.

La Cassazione, tuttavia, precisa che per poter applicare tutte le valutazioni che precedono, è necessario che sia fornita la prova, non solo dell’esistenza di una intesa o di una pratica volta ad alterare l’Euribor, ma anche del fatto che tale intesa o pratica abbia raggiunto il suo obiettivo e che, quindi, il parametro non sia utilizzabile nei rapporti tra le parti.

Autore Simona Daminelli

Partner

Milano

s.daminelli@lascalaw.com

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