27.08.2024 Icon

Esclusa la liquidazione equitativa del danno alla reputazione

La Corte d’Appello di Palermo ha reso una decisione di notevole interesse in punto di danno non patrimoniale, negandone la liquidazione in via equitativa previamente riconosciuta dal Tribunale adito in primo grado.

In prima istanza veniva scorrettamente riconosciuta l’illegittimità della segnalazione in Centrale Rischi con conseguente risarcibilità del danno in ragione della lesione del diritto all’immagine e alla reputazione pur in difetto di un congruo supporto probatorio. Stante l’erroneità della decisione con la quale il Tribunale accoglieva la domanda di risarcimento del danno per illegittima segnalazione in Centrale Rischi ex art.1226 c.c., la Banca impugnava il relativo capo della sentenza domandandone la riforma. A seguito di un ragionato excursus normativo-giurisprudenziale, il Giudice del secondo grado di giudizio in accoglimento del motivo di appello avanzato dalla Banca emendava la statuizione precedente non ritenendo affatto configurabile alcuna responsabilità risarcitoria stante la carenza di un idoneo corredo probatorio teso a dimostrare il pregiudizio patrimoniale reclamato.

Il Collegio, infatti, richiamando la più recente giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che affinché possa essere invocato il rimedio risarcitorio è essenziale che lo stesso venga adeguatamente allegato e provato dalla parte che lo richiede, escludendo la sussistenza di un danno in re ipsa.

In tal senso è stato osservato che:“il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce un danno conseguenza” (Cass. n. 8827 e n. 8828/2003; n. 16004/2003; nonché Cass. civ., SS. UU, n. 26972 dell’11 novembre 2008), che, come tale, necessita di allegazioni non generiche e di prova, anche meramente presuntiva (Trib. Bari 19 maggio 2011). Pertanto, la teorica configurabilità della lesione alla reputazione non esime l’attore dal fornire la prova della concreta compromissione di tale specifico interesse, da cui sia derivato un serio ed effettivo pregiudizio non patrimoniale. Come ha precisato la giurisprudenza di legittimità (in ipotesi di illegittimità di un protesto, ma enunciando un principio che può essere esteso al caso di specie), “la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, da valutare nelle sue diverse articolazioni, non è di per sé sufficiente per la liquidazione del danno, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno, da provare anche mediante presunzioni semplici (…), fermo restando tuttavia l’obbligo del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio, come la lesione di un diritto della persona, sotto il profilo dell’onore o della reputazione (…)” (Cass. civ. sez. I, n. 23194/2013; Cass. civ. sez. I, n. 7211/2009)”.

Pertanto, con la pronuncia in commento la Corte d’Appello adita aderendo all’orientamento giurisprudenziale maturato in materia ha chiarito come il pregiudizio all’immagine e alla reputazione derivanti dall’errata segnalazione a sofferenza sia risarcibile soltanto qualora venga allegata la prova del cd. “danno conseguenza”. Inoltre, attesa la carenza probatoria integrata dalla correntista, il Giudice del gravame ha ritenuto il pregiudizio asseritamente patito dal cliente non provato a fronte dell’insussistenza di alcun elemento concreto volto ad indicare la ricorribilità e l’entità del danno alla reputazione ex adverso lamentato.

Alla luce delle superiori considerazioni, la Corte d’Appello di Palermo ha inteso riformare la sentenza gravata laddove ha accolto la pretesa risarcitoria proposta dagli allora attori in primo grado, rigettando la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla correntista.

Autore Diana Franchetti

Associate

Milano

diana.franchetti@uniqlegal.it

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