08.09.2021 Icon

Se la forma del “quadro” è rispettata, nel contratto di swap non va reiterata

Le norme del T.U.B. sono inapplicabili ai contratti derivati, costituendo essi attuazione di un servizio di investimento, anche nel caso in cui l’intermediario abbia contribuito a creare lo strumento finanziario e abbia stipulato in conto proprio. Si applica, pertanto, l’art. 23 TUF, ai sensi del quale la forma scritta è necessaria per il solo contratto quadro normativo e non anche per i successivi negozi attuativi.

Questi, in sintesi, i principi affermati dalla Corte di Cassazione con la recentissima sentenza n. 23489 del 26 agosto 2021.

La Suprema Corte era chiamata a pronunciarsi su un caso, deciso dalla Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 3964/2017, nel quale era stata confermata la decisione di primo grado che, su domanda di una Società cliente, aveva dichiarato, tra l’altro, la nullità del contratto swap stipulato con la Banca sulla base dell’assunto che tale derivato era senz’altro sottoposto alla sanzione della nullità per inosservanza della forma prescritta dall’art. 117 TUB.

Secondo la Corte territoriale, il contratto di swap non poteva ritenersi un mero ordine impartito dal cliente in esecuzione del sottostante contratto quadro, trattandosi di un negozio dotato di tecnicismo e complessità tali da non consentire il perfezionamento in forma diversa da quella scritta, ex art. 117 TUB.

La Corte di Cassazione, al contrario, ha rilevato che il contratto di Swap era stato stipulato in adempimento del contratto quadro sottostante, contenente le condizioni normative delle future negoziazioni in materia finanziaria, al quale le parti avevano inteso riportarsi.

La Corte ha quindi ricordato lo schema tipico dell’intermediazione finanziaria, secondo il quale il contratto quadro ha valenza di contratto base normativo, alle cui condizioni vengono sottoposte le future contrattazioni. Ai sensi dell’art. 23 comma 1 TUF è, dunque, necessaria la forma scritta del solo contratto quadro, mentre per i successivi ordini di investimento, attuativi del contratto normativo, non è richiesto alcun requisito di forma ad substantiam.

Secondo la Suprema Corte, perciò, il richiamo all’art. 117 TUB è improprio, in quanto l’art. 23, comma 4 TUF vieta esplicitamente l’applicazione ai contratti relativi a servizi di investimento delle disposizioni di cui al Titolo VI capo I del TUB e quindi anche dell’art. 117. Ai contratti derivati, in quanto strumenti finanziari, si applicano dunque le sole disposizioni del TUF.

La Suprema Corte ha poi tenuto a richiamare taluni propri precedenti aventi ad oggetto strumenti finanziari (Cass. n, 5114/2001; Cass. n. 10243/2000; Cass. n. 11279/1997), sottolineando come già in tali decisioni veniva precisato che “nessuna rilevanza può avere in materia quanto stabilito dall’art.117 t. u. Bancario, che prescrive obblighi di forma per i contratti Bancari e non per le attività d’intermediazione mobiliari”.

Per tali motivi, il requisito della forma scritta, previsto in precedenza dall’art. 6, comma 1, lett. c), 1. 2 gennaio 1991, n.1, deve considerarsi rispettato qualora sia stipulato tra le parti un contratto normativo di servizi, nel quale risultino la natura dei servizi forniti, le modalità di svolgimento dei servizi e l’entità e i criteri di calcolo della loro remunerazione, mentre i singoli contratti stipulati in esecuzione della normativa quadro non devono sottostare ad alcun obbligo di forma scritta.

Tali principi, ha poi spiegato la Suprema Corte, sono validi anche nell’ipotesi in cui il contratto derivato sia stato stipulato direttamente dall’intermediario (c.d. servizi di investimento in proprio o in contropartita diretta).

Ai sensi dell’art.1, comma 5-bis, TUE, si tratta di compravendita che l’intermediario pone in essere nei confronti dell’investitore acquistando o vendendo strumenti finanziari propri, che la sentenza in commento ritiene rientrare tra le modalità con le quali l’intermediario può dar corso ad un ordine del cliente di negoziazione di strumenti finanziari, con la sola specificità che, invece di reperire gli strumenti finanziari sul mercato o presso terzi, l’intermediario si rende cessionario di strumenti finanziari di cui sia direttamente in possesso.

Tuttavia, secondo la Corte, il fatto che l’intermediario sia anche venditore di uno strumento finanziario di cui sia anche parte nel sottostante, non esclude che l’operazione possa essere qualificata sempre come esecuzione di servizi di investimento, disciplinati quindi dall’originale contratto quadro, con esclusione perciò di un ulteriore obbligo di forma scritta.

Cass., Sez. I, 26 agosto 2021, n. 23489

Antonio Ferraguto – a.ferraguto@lascalaw.com

© RIPRODUZIONE RISERVATA