La decisione in esame prende le mosse da una controversia concernente il tema della contestata non idoneità di operazioni in strumenti finanziari derivati (contratti cap) rispetto alla finalità di copertura.
Nello specifico, la ricorrente, impresa operante nel settore immobiliare, aveva sottoscritto due contratti Cap, nel 2009 e nel 2013, collegati a un contratto di mutuo edilizio a tasso variabile, entrambi con finalità di copertura dall’oscillazione del tasso di interesse.
Con il ricorso alla Consob, la società lamentava delle irregolarità nella fase genetica degli investimenti, così sintetizzate:
– nullità dei contratti Cap per carenza di causa, in violazione dell’art. 1418 c.c., mancando la finalità di copertura, e ciò anche in considerazione delle Comunicazioni Consob n. DI/99013791 del 26 febbraio 1999 e n. DEM/1026875 dell’11 aprile 2001;
– consulenza svolta non nell’interesse del cliente;
– violazione degli obblighi di trasparenza, per la presenza di commissioni implicite e per la mancata disclousure del fair value;
– applicazione di interessi usurai, in relazione alla rateizzazione del premio del primo Cap, sottoscritto il 20 ottobre 2009.
Conclusivamente, Parte Ricorrente chiedeva la restituzione della somma € 36.533,00, corrispondente a quanto versato per l’acquisto dei due Cap.
L’Intermediario, in sede deduttiva, anzitutto evidenziava la finalità “assicurativa” dei due contratti oggetto di doglianza, evidenziando la finalità strumentale alla copertura del mutuo a tasso variabile stipulato nel 2008, per un controvalore complessivo pari a € 4.000.000,00, con l’erogazione del capitale in più soluzioni, in base allo stato avanzamento lavori cui era finalizzato il mutuo.
L’Intermediario affermava, altresì, che i due Cap in contestazione permettevano a Parte Ricorrente di coprire il rischio di aumenti del tasso Euribor, tutelandosi contro andamenti al rialzo dei tassi di mercato e conservando al tempo stesso la possibilità di sfruttare andamenti al ribasso dei medesimi tassi.
Veniva rappresentato, poi, che la ricorrente aveva ricevuto in tempo utile tutte le informazioni necessarie per una compiuta valutazione delle due operazioni, per conoscere i termini e le condizioni, nonché per comprendere i relativi rischi, così come confermato dalle dichiarazioni rese nella modulistica sottoscritta, rilevanti e impegnative, in forza del principio di autoresponsabilità.
In relazione alla correlazione con il finanziamento sottostante, la Banca precisava che, in entrambi i casi, si trattava di semplici operazioni di copertura correlate al mutuo edilizio sottostante, senza alcuna finalità speculativa e che il nozionale di riferimento era stato individuato sulla base delle esigenze di copertura manifestate dalla Società.
La non coincidenza dei capitali nozionali dei derivati con il finanziamento erogato si giustificava per una molteplicità di fattori, ivi inclusa la circostanza che l’erogazione del finanziamento avveniva in base allo stato di avanzamento dei lavori, oltre al fatto che il mutuo, sin dalla fase del preammortamento, era stato frazionato in numerose quote, successivamente estinte, ovvero accollate dagli acquirenti delle singole unità immobiliari.
Quanto, invece, alla mancata coincidenza tra la durata delle operazioni rispetto a quella del finanziamento, per cui i contratti avevano una durata inferiore, la Banca argomentava nel senso che nulla vieta alle parti contraenti “di stipulare un derivato di copertura per un periodo inferiore rispetto al rischio dal quale ci si intende coprire” (citando la Decisione ACF n. 1742 del 23 luglio 2019, in cui si afferma che ciò “non basta per far venir meno l’idoneità dello strumento ad assicurare al ricorrente, seppure per il minore periodo di tempo considerato, una protezione contro il rischio di aumento dei tassi”).
Infine, l’Intermediario concludeva rilevando che, al momento della stipula, i tassi Euribor attesi si presentavano potenzialmente più elevati e che non sarebbe corretto valutare la convenienza dell’operazione ex post, alla luce dell’andamento dei tassi poi effettivamente realizzatesi, ma che qualsiasi valutazione sulla convenienza dell’operazione avrebbe dovuto essere riportata ex ante, sulla base delle previsioni dell’epoca.
Il Collegio, esaminati gli scritti e la documentazione depositata dalle parti, ha respinto il ricorso della società ricorrente sulla base di molteplici motivazioni.
Ricostruite dapprima le caratteristiche dei due contratti Cap e del mutuo oggetto di copertura, sono state esaminate le doglianze di parte ricorrente relative alla nullità dei contratti Cap per carenza di causa che, secondo la società ricorrente avrebbero avuto natura speculativa e non sarebbero state in grado, pertanto, di assolvere alla finalità perseguita di proteggere il debito sottostante dal rischio di rialzo del tasso di riferimento.
Sul punto, l’Arbitro richiamando le proprie precedenti decisioni, ha ribadito che un contratto deve ritenersi nullo per assenza di causa nel caso in cui lo stesso, già al momento della stipula, sia inidoneo ad assolvere le finalità perseguite, almeno in astratto, in quanto non destinato ad assolvere ad alcuna funzione meritevole di tutela.
Decisivo è, dunque, stabilire in simili casi se possa ritenersi esistente quella “elevata correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziare (scadenza, tasso d’interesse, tipologia, etc.) dell’oggetto della copertura e dello strumento finanziario utilizzato” richiesta dalla Comunicazione Consob del 26 febbraio 1999, richiamata anche dalla Corte di Cassazione nella Sentenza n. 19013 del 31 luglio 2017; a giudizio del Collegio, infatti, solo la presenza di tale “elevata correlazione”, denotando la potenziale idoneità dello strumento ad assolvere siffatta finalità in una prospettiva ex ante, permetterebbe di ritenere che il contratto derivato persegua un interesse concretamente meritevole di tutela.
Nel caso sottoposto all’esame dell’ACF, gli elementi di correlazione tra il primo contratto Cap del 2009 e il secondo del 2013 con il contratto mutuo sono risultati decisamente apprezzabili.
La correlazione tra i Cap e il mutuo era, quindi, totale per il tasso di riferimento, mentre il Cap del 2013, a differenza di quello del 2009, forniva una copertura parziale del mutuo, sia per l’orizzonte temporale, sia per l’entità del capitale protetto.
Su tale ultimo aspetto, il Collegio ha altresì osservato che una copertura parziale, oltre a comportare costi inferiori per il cliente, ha limitato il rischio nei primi anni, quando le quote interessi dei rimborsi erano più alte. Pertanto, non può dirsi che la natura solo parziale della copertura sotto il profilo temporale possa sic et simpliciter far venir meno sempre e comunque la correlazione tra il contratto derivato e il contratto di mutuo, né l’idoneità del derivato a costituire una tra le scelte razionali possibili per assicurarsi una copertura dal rischio di tasso di interesse derivante da un mutuo a tasso variabile.
Nel caso specifico, ha osservato l’Arbitro, la ricorrente era un’impresa operante nel settore della costruzione e vendita di unità immobiliari via via realizzate e, quindi, con la prospettiva di ridurre progressivamente il proprio debito e, con esso, anche l’esposizione al rischio di variazione del tasso di interesse. In una tale ottica, una copertura parziale, sicuramente più economica di una totale, secondo il Collegio, non può dirsi irragionevole e riconducibile, piuttosto, nella sfera dell’autonomia gestionale d’impresa, consapevole dell’esigenza di contemperare rischi e costi di copertura.
Dal momento che i rischi assunti o, meglio, protetti con il Cap sono risultati inferiori rispetto a quelli derivanti dal mutuo sottostante, il Collegio ha escluso la natura speculativa dell’operazione compiuta sottoscrivendo il Cap, che non portava ad assumere una posizione di rischio sull’andamento del tasso, ma a ridurre l’esposizione già in essere derivante dal mutuo edilizio concesso per finanziare l’attività caratteristica della ricorrente.
In conclusione, non sono stati riscontrati elementi idonei a revocare in dubbio l’esistenza di un’“elevata correlazione” tra contratti Cap e sottostante e, quindi, tali da giustificare una declaratoria di nullità dei due contratti per assenza di causa.
Infine, sul mancato rispetto degli obblighi informativi da parte della Banca, Collegio ha rilevato come nei contratti di IRS il mark to market e i costi impliciti non costituiscano elementi essenziali del negozio e la loro eventuale mancanza viene in rilievo ai fini dell’accertamento del mancato assolvimento degli obblighi informativi, ma non si configura in sé come causa di nullità del contratto (cfr., ex multis, ACF Decisione n. 1645 del 18 giugno 2019). Secondo l’ACF, gli elementi essenziali di contratti siffatti sono costituiti dalla durata, dal parametro intermediario, dal parametro cliente e dal valore nozionale, tutti elementi presenti nei contratti oggetto di contesa, mentre altri elementi, quali il fair value del derivato o la formula matematica utilizzata per determinarlo non costituiscono elementi essenziali del contratto, dal momento che essi non sono necessari al fine di determinare le obbligazioni principali assunte dalle parti.
Piuttosto, la loro mancata indicazione nel contratto o nella documentazione collegata potrebbe costituire, in funzione delle circostanze del caso concreto, inadempimento da parte dell’intermediario di un obbligo di informazione.
In conclusione, le doglianze addotte, relative alla mancata indicazione del mark to market e alla presenza di costi impliciti non rappresentati in sede di sottoscrizione del contratto, così come le altre doglianze connesse a violazioni di obblighi di condotta, non sono state ritenute meritevoli di accoglimento, da parte del Collegio, sotto il profilo restitutorio, mancando la loro potenziale idoneità ad integrare fattispecie di nullità contrattuale, pur potendo astrattamente risultare meritevoli di accoglimento sotto il profilo risarcitorio laddove integrino violazione degli obblighi di diligenza, correttezza, informazione e trasparenza nei confronti degli investitori, domande tuttavia non formulate dalla ricorrente.
ACF – Decisione n. 5017 del 25 gennaio 2022
Federica Mendolia – f.mendolia@lascalaw.com
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