“A frenare la richiesta di credito da parte delle imprese non è tanto il rallentamento della congiuntura economica, anzi. Il problema è l’aumento dei tassi di interesse accompagnato dall’incertezza sulla durata di questa stretta creditizia da parte della Bce”.
In questi termini si è espresso Simone Capecchi (Executive Director Crif) ancor prima che Francoforte disponesse un ulteriore innalzamento dei tassi di interesse di 25 punti base, portando il costo del denaro al livello più alto fatto registrare dal 2001.
È certo che la politica di innalzamento dei tassi operata dalla Bce comincia ad esercitare una forte incidenza sia sul grado di solvibilità delle imprese sia sulla loro propensione ad accedere al credito bancario.
Da un lato, infatti, il Barometro periodico Crif segnala un costante aumento dei tassi di default delle imprese che nel primo semestre 2023 ha toccato quota 2,5% e, dall’altro, registra nel corso del secondo semestre un calo pari al 5% delle richieste di finanziamento proveniente dal mondo imprenditoriale rispetto allo stesso periodo 2023.
E, si tratta, purtroppo, di una costante che, ormai, accomuna tutti i Paesi dell’Eurozona.
La stessa BCE ha reso, infatti, noto che la domanda netta di prestiti delle imprese, specie appartenenti al segmento delle Pmi, ha registrato un brusco calo nel corso del periodo compreso tra aprile e giugno, sfiorando il livello più basso dal 2003.
È escluso che la situazione sia destinata a mutare nel breve periodo, tant’è che la Bce non ha smentito la possibilità di nuovi rialzi.
La stessa Lagarde ha dichiarato che “a settembre e nei prossimi meeting potremmo alzare i tassi, o mantenerli fermi” precisando qualsiasi decisione presa “non sarà definitiva”.
Certo è che le conseguenze del rialzo dei tassi necessita di tempo per valutarne gli effetti sull’economia reale.
Non resta, dunque, che attendere gli sviluppi dei prossimi mesi.