Il Tribunale di Bari si è recentemente espresso su una quaestio iuris particolarmente complessa a risoluzione di un Procedimento Unitario (di seguito solo “P.U.”) volto all’apertura della liquidazione giudiziale di una società consortile, quest’ultima coinvolta in un’intricata vicenda giudiziaria.
Il P.U. è stato introdotto su istanza del Pubblico Ministero ex art. 38 C.C.I.I. dopo aver acquisito notizia dell’insolvenza dagli atti del procedimento penale per evasione delle imposte che vedeva coinvolta la controparte e il suo legale rappresentante, conclusosi con un sequestro preventivo per circa trentotto milioni di euro.
Il ricorso introduttivo del P.U. trovava fondamento su delle criticità emerse durante l’analisi del bilancio d’esercizio relativo all’anno 2021, già a suo tempo rilevate dalla società che ne curava la revisione legale dei conti.
Con la costituzione in giudizio, la società resistente ha dichiarato di aver recepito i rilievi esposti dalla società di revisione e di ad aver predisposto ed approvato il bilancio 2022 (con conseguente emersione di una perdita pari a circa 9 milioni di euro e nel bilancio 2023 l’indicazione di un patrimonio netto pesantemente negativo per oltre 8 milioni di euro).
Il Tribunale di Bari, a seguito di formale richiesta della società, ha concesso un primo rinvio al fine di consentire la prosecuzione delle trattative individuali con l’Erario. Nelle more, però, è stata depositata istanza per l’accesso alla composizione negoziata della crisi e, soprattutto, per la concessione delle misure protettive e cautelari (artt. 18 e 19 C.C.I.I.), successivamente accolta dal Collegio barese, con conseguente ulteriore rinvio d’udienza al fine di consentire la prosecuzione delle trattative con l’intero ceto creditorio.
A seguito del naufragio della composizione negoziata e della conseguente revoca della misure protettive, il Giudice ha fissato una nuova udienza di comparizione delle parti, alla quale non ha concesso un ulteriore rinvio nonostante l’istanza formulata dalla società.
Il Tribunale ha dichiarato l’apertura della liquidazione giudiziale della società consortile rilevando l’illegittimità della richiesta di rinvio di udienza promossa dalla società resistente per i seguenti motivi: “L’art. 40 comma 10 CCII impone, a pena di decadenza, la proposizione della domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi entro la prima udienza del procedimento per la liquidazione giudiziale, oramai spirato;
– L’ultimo periodo del comma 10, in deroga a quanto appena stabilito, consente la proposizione della domanda nel corso del procedimento già pendente di liquidazione giudiziale allorquando sia stata espletata la procedura di composizione negoziata, entro il termine previsto per la proposizione del concordato semplificato;
– Tale ultimo inciso deve essere interpretato, ad avviso del Collegio e dell’orientamento prevalente, nel limitato senso di derogare al termine di decadenza sancito dall’incipit del comma 10, senza che ciò comporti la necessità di attendere necessariamente lo spirare dei 60 gg per poter decidere l’istanza di liquidazione giudiziale già pendente”.
I giudici di merito, rimanendo ancorati al tenore normativo dell’art. 40, co. 10, C.C.I.I., hanno correttamente ritenuto di non dover attendere ulteriore tempo per decidere in merito alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, in quanto non più presenti vincoli di natura legislativa.
Ciò posto, il Collegio barese ha inoltre aggiunto che “- la liquidazione giudiziale, infatti, è impedita unicamente dalla pendenza di uno strumento di regolazione della crisi – attualmente non pendente – o dalla concessione delle misure protettive, circostanza quest’ultima che ha legittimato il rinvio delle udienze in pendenza della composizione negoziata ma che allo stato è venuta meno, essendo intervenuto il provvedimento di revoca delle misure protettive;
– la mera pendenza del termine per la proposizione di un eventuale concordato semplificato, conclusivamente, non può legittimare la concessione di un ulteriore rinvio, alla luce degli elementi raccolti, che depongono per l’esistenza di una situazione di grave insolvenza, e del rischio di pregiudizio per la tutela dei creditori insito nella dilatazione dei tempi di liquidazione, allorquando l’insolvenza sia ormai manifesta”.
Invero, l’insussistenza di vincolo e la situazione di urgenza dovuta al conclamato stato d’insolvenza nonché il concreto rischio che procrastinare ulteriormente avrebbe arrecato seri pregiudizi per i creditori, hanno fatto propendere il Collegio per la declaratoria di apertura della liquidazione giudiziale senza attendere lo spirare dei termini per la proposizione della proposta di concordato semplificato.
Con riferimento, invece, alle motivazioni che hanno portato il Tribunale di Bari a propendere per la declaratoria di apertura della liquidazione giudiziale, le risultanze emerse dalla relazione finale rilasciata dall’esperto nominato per la composizione negoziata si sono dimostrate fondamentali per la decisione; quest’ultimo, infatti, ha attestato l’assenza di concrete prospettive di risanamento e di prosecuzione delle trattative con i creditori, non essendo praticabili le soluzioni alternative ex art. 23, co. 1, C.C.I.I. (contratto, convenzione di moratoria, accordo con gli effetti del piano attestato, accordo di ristrutturazione dei debiti).
In conclusione, il tribunale ha così chiosato: “Non vi è quindi allo stato alcuno spazio per la tutela della continuità aziendale, sussistendo al contrario una situazione di insolvenza irreversibile. La prospettata volontà di procedere alla liquidazione degli elementi attivi e la pendenza di offerte di acquisto per l’azienda, …, non consentono di procrastinare ulteriormente la decisione del ricorso, alla luce dell’assenza di prospettive per la continuità, unico fattore tutelabile, e della dichiarata volontà di procedere alla dismissione dei beni e quindi all’adozione di condotte potenzialmente dannose per la par condicio creditorum, ove non adeguatamente valutate”.