21.12.2022 Icon

La mancata partecipazione al concorso determina l’estinzione del titolo esecutivo?

La dichiarazione di fallimento non impedisce al creditore, non insinuatosi al passivo della procedura e che abbia “tenuto in serbo il titolo”, di agire contro il debitore tornato “in bonis” a seguito di un concordato fallimentare.

Così si è espressa la Corte di Cassazione civile Sez. III, chiamata a pronunciarsi su un ricorso presentato per violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 52 della Legge Fallimentare.

Le norme appena citate contengono  il “nocciolo” della normativa fallimentare: il primo quello della “par condicio creditorum”, principio che vieta, a partire dalla data di pubblicazione della sentenza di apertura del fallimento, di intraprendere e/o proseguire azioni esecutive individuali; il secondo, il principio del concorso dei creditori, espresso dall’art. 52 L. Fall., per cui ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o prededucibile, deve essere accertato mediante le regole previste in tema di formazione del passivo.

Nel caso in esame, Caio, creditore del fallito per alcune cartelle di pagamento sorte ante fallimento, tutte ritualmente notificate e non onorate, non si era insinuato al passivo ffallimentare. Alla luce del mancato concorso del creditore, la Corte di Appello di Firenze confermava l’opposizione proposta da Sempronio, sul rilievo che, in relazione al credito vantato da Caio, quest’ultimo avrebbe dovuto proporre istanza di insinuazione al passivo fallimentare per vedere soddisfatto il proprio credito.

La Suprema Corte, seppur riconoscendo come gli artt. 51 e 52 della Legge Fallimentare operino sul piano formale e contribuiscano a dare attuazione al “principio del concorso”, esprime come tali norme non costituiscano un veto a trarre da ciò la regola capovolta, ossia la regola secondo cui “la mancata partecipazione al concorso determinerebbe l’estinzione del titolo esecutivo di cui il creditore è munito”. Così, la Corte richiamando una precedente Cassazione che già si era espressa sul punto, ribadisce come non vige un obbligo per il creditore concorsuale di divenire anche creditore concorrente. Il tutto purché la “tenuta in serbo del titolo” sia priva di qualunque effetto nei confronti della massa.

La Corte, in conclusione, ha accolto il ricorso e per l’effetto ha cassato la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Firenze che deciderà nel merito.

Autore Roberto Plebani

Trainee

Milano

r.plebani@lascalaw.com

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