23.10.2024 Icon

L’esdebitazione non è solo una percentuale!

Con sentenza n. 25946 3 ottobre 2024 la Corte di Cassazione ha ribadito che «tra “tutte le risultanze della procedura” di cui occorre tener conto ai fini del riconoscimento del beneficio della esdebitazione (Cass. 15246/2022), bisogna certamente considerare anche l’entità dell’attivo acquisito e di quello che è stato possibile liquidare, il numero dei creditori e l’ammontare dei costi prededucibili (variabile, quest’ultima, indipendente dalla condotta del fallito), senza arrestarsi a rilevare la “irrisorietà” della percentuale di soddisfazione dei creditori concorsuali – nel caso in esame indubbiamente bassissima, pari allo 0,6% del credito privilegiato – anche perché, come visto, si tratta di un criterio valutativo nemmeno esplicitato nella norma».

Corte di Cassazione, sentenza n. 25946 del 3 ottobre 2024, Pres. Cristiano, Est. Vella, *25946_redatto.pdf

La Suprema Corte – interessata della questione dal fallito – torna ad illustrare la complessità dell’analisi che il Giudice Delegato deve svolgere in sede di procedimento per l’esdebitazione ex art. 142 ss. L.Fall.

Nel caso di specie, il fallito ha incardinato il procedimento de quo avanti il Tribunale di Cremona, che ha ritenuto “irrisoria” la percentuale di soddisfazione riconosciuta al ceto privilegiato, con conseguente diniego del beneficio dell’esdebitazione. Dello stesso avviso è stata sostanzialmente anche la Corte di Appello di Brescia, che ha rigettato il reclamo rilevando come «è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito una valutazione comparativa tra quanto pagato e quanto complessivamente dovuto (Cass. Sez. U., 24215/2011; Cass. 16620/2016; 17386/2015; 9767/2012), occorrendo verificare che la soddisfazione non sia irragionevole, tenuto conto dell’importo globale dello stato passivo e del numero dei creditori complessivamente ammessi (…)».

Il fallito ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di n. 10 motivi – tutti strettamente connessi tra loro ed aventi sommariamente ad oggetto la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 142, 52, 111 L.Fall. anche in relazione agli artt. 2, 3, 41, 42, 76, 10 e 117 Cost. nonché la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 23 della L. Cost. n. 87/1953 e dell’art. 1 della L. Cost. n. 1/1948 – e la Corte ha complessivamente accolto il ricorso.

La sentenza risulta interessante – oltre che per l’excursus giurisprudenziale e storico proposto – soprattutto laddoveaffronta il tema relativo all’inclusione o meno dei creditori prededucibili nel novero di quelli concorsuali. Secondo il ricorrente, invero, tali creditori – che devono essere soddisfatti con preferenza rispetto a tutti gli altri – dovrebbero, a ben vedere e soprattutto ai fini dell’art. 142 L.Fall., essere inclusi tra i creditori concorsuali, posto che, da un lato, il quantum relativo a tali crediti incide inevitabilmente sulle possibilità di soddisfazione dei crediti postergati e che, dall’altro, anch’essi trovano soddisfazione nel concorso.

Sul punto, la Cassazione precisa preliminarmente che «non v’è dubbio che, con la riforma del 2006, il secondo comma dell’art. 52 L.Fall. è stato integrato per chiarire, in uno al nuovo art. 111-bis L.Fall. che anche i crediti prededucibili devono essere trattati “con le modalità di cui al Capo V”, e sono perciò soggetti al concorso formale; tuttavia è anche contemplata l’esplicita “esclusione di quelli non contestati per collocazione e ammontare, anche se sorti durante l’esercizio provvisorio, e di quelli sorti a seguito di provvedimenti di liquidazione di compensi dei soggetti nominati ai sensi dell’articolo 25”, tra i quali rientrano sicuramente le spese di procedura e il compenso al curatore fallimentare». Prosegue poi la Corte stabilendo che «appare invece dirimente, in direzione contraria, l’espresso ed inequivocabile riferimento che l’art. 142 l.fall. fa – tanto nel primo quanto nel secondo comma – proprio e solo ai “creditori concorsuali”, categoria ampiamente nota e tradizionalmente ricondotta ai creditori anteriori all’apertura del fallimento (cfr. Cass. 16263/2020, in motivazione), dunque ben distinta da quella dei “creditori prededucibili” (similmente, l’art. 281 CCII fa riferimento ai “debiti concorsuali” non soddisfatti). Si potrebbe al più discutere dei crediti prededucibili sorti ante procedura (ad esempio in correlazione ad una precedente procedura concordataria avvinta a quella fallimentare dal vincolo della “consecutio”), ma l’aspetto non è stato allegato in questa sede né risulta oggetto del thema decidendum in sede di merito».

Ne deriva che i crediti prededucibili non possono essere equiparati a quelli concorsuali. Continua, però, la Corte sottolineando «Nondimeno, poiché è innegabile che l’attivo fallimentare viene destinato anche (ed anzi prioritariamente) a far fronte ai costi della procedura fallimentare, l’incidenza dei crediti prededucibili può essere “recuperata” sotto il profilo della misura della soddisfazione affrontato precipuamente con il secondo motivo e arricchito delle argomentazioni addotte nei restanti otto».

Prosegue, quindi, la Corte richiamando quell’orientamento nomofilattico consolidato e in forza del quale il cd. “requisito oggettivo”, cui l’esdebitazione è condizionata, richiede ex art. 142, comma 2, L.Fall. che i creditori concorsuali siano stati almeno “in parte” soddisfatti nonché fornisce un’interpretazione costituzionalmente orientata di tale condizione, ritenendola sussistente anche nel caso in cui taluni creditori non siano stati affatto soddisfatti «risultando invero sufficiente che un parte dei debiti, oggettivamente intesa, sia stata pagata in sede di ripartizione dell’attivo, ed essendo rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito una valutazione comparativa della consistenza di quella “parte” rispetto a quanto complessivamente dovuto (Cass. Sez. U., 24214/2011; Cass. 9767/2012, 16620/2016)». La Corte prosegue, poi, ricordando che tutte le sue pronunce hanno avuto modo di ricordare come immancabilmente l’individuazione della soddisfazione parziale dei creditori (che, al ricorrere degli ulteriori presupposti oggettivi, dà accesso al beneficio dell’esdebitazione) deve essere operata secondo un’interpretazione incline al favor debitoris e all’istituto europeo del discharge of debts di cui alla Direttiva Insolvency (che ha, peraltro, indotto il Legislatore ad eliminare il requisito oggettivo dalla nuova formulazione dell’art. 280 CCII).

Stante quanto sopra, la Corte conclude precisando che «l’accertamento della natura “affatto irrisoria” in quesitone non debba (affatto) ridursi alla registrazione del dato percentuale del soddisfacimento dei creditori (…) perché l’indirizzo nomofilattico di cui si è dato conto ha consegnato al prudente apprezzamento del giudice di merito una valutazione che non può ridursi ad una mera operazione “matematica”, ma deve abbracciare e discernere, anche comparativamente, tutte le peculiarità e le proporzionalità della singola procedura, secondo un’interpretazione che sia per un verso rispettosa di quel “favor” esplicitato dal legislatore (dapprima interno e poi unionale) e per altro verso costituzionalmente, unionalmente (ed ora anche evolutivamente) orientata».

Ne deriva che non può certo ritenersi irrisoria la percentuale del 0,6% dei crediti privilegiati pagata nel fallimento se, a fronte di un attivo liquidato in complessivi Euro 10.000,00, il ceto prededucibile ha ottenuto un incasso per complessivi Euro 7.303,47. E ciò soprattutto se si prende in considerazione che l’attività liquidatoria non è effettuata dal debitore e che, quindi, non si può in alcun modo far ricadere su di lui l’esito infausto e/o perlomeno insoddisfacente di tale attività.

Alla luce di quanto sin qui evidenziato, la Corte ha accolto il ricorso e, per l’effetto ha cassato il decreto impugnato, rinviando alla Corte di Appello.

Autore Linda Frisoni Bianchi

Associate

Milano

l.frisoni@lascalaw.com

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