Con l’ordinanza in commento, il Tribunale di Perugia affronta il tema dell’accesso alla composizione negoziata della crisi da parte di una società in liquidazione volontaria.
In particolare, nel caso di specie una società in liquidazione con ricorso ex art. 19 CCII, richiedeva la conferma delle misure protettive generiche di cui all’art. 18 CCII.
Il Tribunale, nell’aderire alla richiesta della ricorrente, ha ripercorso gli orientamenti giurisprudenziali succedutisi a partire dall’entrata in vigore dell’istituto della composizione negoziata della crisi, introdotta nell’ordinamento con il d.l. 118/2021. Inizialmente, infatti, la giurisprudenza di merito aveva adottato un approccio prudente, orientandosi nel senso del rigetto delle richieste di conferma delle misure protettive richieste da società in stato di liquidazione, sull’assunto che lo stato di liquidazione fosse incompatibile con la nozione di “risanamento”, che presupporrebbe invece una prosecuzione dell’attività in continuità (cfr. Tribunale di Bergamo, 15 febbraio 2022). Anche il Tribunale di Ferrara ha negato la compatibilità della composizione negoziata con la presentazione di piani liquidatori, atteso che il risanamento dell’impresa implicherebbe sempre la prosecuzione dell’attività e che, pertanto, laddove “la ricorrente non presenti, sulla base delle sue stesse affermazioni e prospettazioni, una seria e ragionevole possibilità di risanamento”, verrebbe a mancare “lo stesso presupposto per accedere alla composizione negoziata” (Trib. Ferrara, 21 marzo 2022).
Tuttavia, il Tribunale osserva che, successivamente, gli interpreti hanno evidenziato come un’impostazione così restrittiva non possa ritenersi coerente né con la lettera né con lo spirito della composizione negoziata della crisi, come si deduce (i) dal disposto dell’art. 2 del d.l. 118/2021 e dell’art. 12, comma 2, CCII, che prevedono che “L’esperto agevola le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di cui al comma 1, anche mediante il trasferimento dell’azienda o di rami di essa” (rendendo evidente che la cessione e dunque la continuità indiretta dell’azienda è solo uno dei modi possibile per conseguire il risanamento dell’impresa); (ii) dalle modalità di calcolo del c.d. test pratico sulla difficoltà del risanamento del debito, adottato ai sensi dell’art. 3, comma 2, d.l. n. 118/2021 e richiamato dagli artt. 13, comma 2 e 17, comma 3 del CCII, il quale prevede che l’importo complessivo del debito da ristrutturare deve essere ridotto sia dei proventi della cessione dei cespiti dell’impresa che dell’eventuale stralcio ipotizzabile con i creditori; (iii) dalla previsione, contenuta nell’art. 9 del d.l. 118/2021, che la composizione negoziata della crisi sia applicabile anche alle imprese insolventi, condizione pacificamente distinta da quella di crisi e, in linea di principio, prodromica ad una liquidazione dell’impresa più che ad una prosecuzione dell’attività in equilibrio economico-finanziario.
Pertanto, ad avviso del Tribunale “l’applicazione del test pratico e i chiarimenti della lista di controllo rendono evidente che nell’espressione, di per sé generica, “ragionevole perseguibilità della risanamento dell’impresa” di cui all’art. 2 D.L. 118/2021 (ora art. 12 CCII) debba, a seconda dei casi e, in particolare della gravità della crisi dell’istante, ricomprendersi tanto il risanamento dell’impresa tramite una sua prosecuzione (totale o parziale) della sua attività in continuità diretta o indiretta, quanto il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa tramite la soddisfazione dei creditori anche con i proventi della liquidazione dell’attività”. Ne deriva che “lo stato di liquidazione di un’impresa che chiede di accedere alla CNC o la predisposizione di un piano liquidatorio (anziché di continuità diretta o indiretta) da parte dell’impresa istante (in liquidazione o meno) non dovrebbero essere di per sé tali da impedire l’accesso alla CNC (o meglio determinare il rigetto da parte del Tribunale della conferma delle misure protettive eventualmente richieste)”.
La ratio di tale conclusione, caratterizzata da un interessante pragmatismo e in linea con la direzione indicata dalla direttiva Insolvency (UE 2019/1023), risiede nel fatto che, laddove un piano consenta, anche attraverso stralci accettabili dai creditori, di pervenire alla loro soddisfazione (anche parziale), non dovrebbe esservi motivo per impedire lo svolgimento di trattative e quindi di negare la conferma delle misure protettive.
Il tutto, ovviamente, ferma restando la necessità di arginare, anche mediante l’ausilio dell’esperto (chiamato a predisporre un parere un punto di ragionevole probabilità di perseguibilità del risanamento proposto), le richieste abusive o presentate a mero scopo dilatorio in casi in cui lo stato di liquidazione dell’impresa richiedente sia protratto da tempo e il valore dei beni da liquidare e dell’attivo disponibile dell’impresa sia esiguo rispetto al debito complessivo.
In conclusione, dunque, il Tribunale ha accolto la richiesta della società ricorrente, confermando le misure protettive richieste.