La Cassazione, con la pronuncia del 17 dicembre 2024, n. 32996, ha affermato che il venir meno della causa di risanamento dell’accordo di ristrutturazione omologato seguito dal fallimento determina la risoluzione per impossibilità sopravvenuta dell’accordo, con conseguente riespansione dell’obbligazione originaria, al netto dei pagamenti eventualmente intervenuti.
Nel caso di specie, il Giudice Delegato ammetteva al passivo il creditore per il solo importo offerto in pagamento dal debitore (poi fallito) con l’accordo di ristrutturazione, ritenendo che detto accordo, di carattere remissorio, fosse ancora vincolante tra le parti, non avendone il creditore istante mai richiesto la risoluzione.
Anche il Collegio dell’opposizione riteneva che l’opponente non potesse insinuare al passivo del fallimento il credito originariamente vantato, non avendo quest’ultimo richiesto la risoluzione del contratto stipulato ai sensi dell’art. 182-bis l.f. prima della sentenza dichiarativa di fallimento o, quantomeno, ai sensi dell’art. 72 l.f.. Ciò precisando che il fallimento successivo all’omologazione dell’accordo di ristrutturazione determina l’impossibilità di esecuzione di quest’ultimo, ma senza comportare l’automatico scioglimento di tutti i contratti conclusi per la sua attuazione, la cui causa potrebbe essere ancora realizzata.
Giunta in Cassazione, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza, al fine di verificare la sorte dell’accordo di ristrutturazione per il caso di successivo fallimento, anche in relazione all’eventuale necessità della richiesta di risoluzione da parte del creditore contraente.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dal creditore.
La Cassazione, chiarito che l’accordo di ristrutturazione appartiene agli istituti di diritto concorsuale e che la legge fallimentare non prevede che l’accordo possa essere dichiarato risolto per inadempimento (né può essere applicata analogicamente la normativa al riguardo in materia di concordato preventivo), ha osservato che la dichiarazione di fallimento impedisce all’evidenza l’adempimento dell’accordo di ristrutturazione.
Il fallimento, prosegue la Corte, determina automaticamente, ossia senza necessità di alcuna istanza, la risoluzione di diritto dell’accordo per impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi dell’art. 1463 c.c. e la riespansione dell’originaria obbligazione.
La Cassazione fa in proposito riferimento anche alla giurisprudenza di legittimità in tema di fallimento omisso medio, che ha chiarito che i creditori non devono sopportare gli effetti esdebitatori del concordato qualora il fallimento subentri quando il termine per chiedere la risoluzione della procedura concordataria non sia ancora decorso.
Ma, prosegue la Corte, in assenza, nell’ambito della disciplina degli accordi di ristrutturazione, di una norma che imponga la risoluzione entro un preciso termine, deve ritenersi che l’intervento del fallimento renda sempre irrealizzabile il piano posto alla base della procedura concorsuale.
Secondo la Cassazione, pertanto, il credito oggetto di remissione parziale nell’ambito dell’accordo dovrà essere ammesso al passivo del fallimento nel suo originario ammontare, detratti i pagamenti eventualmente intervenuti e non più revocabili, così come previsto dall’art. 67, comma 3, lett. e), l.f..