La Suprema Corte, con una recente ordinanza, ha ulteriormente chiarito la questione attinente alla conservazione dell’effetto esdebitatorio del concordato preventivo omologato in caso di declaratoria di fallimento quando è spirato il termine per la risoluzione ex art. 186 L.F.
La decisione in esame trae origine dall’impugnazione del decreto di rigetto dell’opposizione allo stato passivo promossa dal creditore, con la quale ha richiesto l’ammissione al passivo per l’intero quantum del credito indicato nell’elenco dei creditori del pregresso concordato preventivo liquidatorio omologato e non per il minor importo derivante dall’applicazione della falcidia concordataria, come da stato passivo esecutivo.
La Cassazione, infatti, si è espressa a più riprese in materia, tra cui anche – e soprattutto – le Sezioni Unite (Cass. SS.UU. n. 4696/2022).
L’orientamento ormai costante sostiene che, ai fini dell’insinuazione al passivo, se il fallimento è stato dichiarato quando era ancora possibile la risoluzione ex art. 186 L.F., il creditore istante non è tenuto a sopportare gli effetti esdebitatori e definitivi ex art. 184 L.F., posto che l’attuazione del piano è resa impossibile per un evento come il fallimento che, sovrapponendosi al concordato preventivo, inevitabilmente lo rende irrealizzabile.
Tale regola, però, non poteva in alcun modo trovare applicazione nel caso in esame, in quanto trattasi di fallimento omisso medio dichiarato ben oltre il termine annuale previsto per la risoluzione del concordato.
La S.C. ha, infatti, ritenuto che “(…) la dichiarazione di fallimento è avvenuta omissio medio anni dopo la scadenza del termine di cui all’art. 186, terzo comma, legge fall., e su iniziativa di un creditore (omissis) diverso sia dalla stessa (omissis) che da quello che aveva avanzato l’istanza di risoluzione già ritenuta infondata. In tale condizione non può sostenersi che la dichiarazione di fallimento implicitamente contenesse la necessaria previa risoluzione del concordato. L’effetto esdebitatorio (parziale) conseguente all’omologazione non viene meno in casi simili, perché scaduto il termine per la risoluzione del concordato (o rigettata la relativa domanda) il debitore continua a essere obbligato all’adempimento delle obbligazioni così come derivanti dal piano; sicché si riapre solo lo scenario delle possibili iniziative dirette a farne accertare l’insolvenza, secondo quanto per l’appunto confermato dalla citata sentenza delle Sezioni Unite (ndr, Cass. SS.UU. n. 4696/2022)”.
Dunque, la regola generale presuppone che l’unica strada perseguibile concessa al creditore per non veder falcidiato il proprio credito in sede fallimentare è esclusivamente la previa risoluzione del concordato nei termini di legge (id est, entro un anno dall’ultimo adempimento previsto dal piano concordatario) con contestuale istanza per la declaratoria di fallimento.
In ultimo, la Suprema Corte ha anche precisato che il termine di cui all’art. 186, comma 3, L.F., inizia a decorrere esattamente dal giorno indicato “per l’ultimo dei programmati pagamenti”, in ogni caso e a prescindere dalla tipologia di concordato preventivo. La Corte ha motivato tale orientamento fornendo un’esemplificazione di quello che potrebbe verificarsi qualora il termine annuale di cui sopra dovesse decorrere da una data imprecisa e/o inesatta: “Ne deriverebbe questo: che il concordato, in quanto liquidatorio, non è ultimato se non al momento dell’effettivo pagamento delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni e dell’attivo concordatario; per cui all’atto della dichiarazione di fallimento, non essendo state ancora ultimate le operazioni liquidatorie, i creditori erano ancora in termini per richiedere la risoluzione. L’assunto è incentrato tuttavia su una considerazione astratta ed è in contrasto con la norma di legge, che non pone distinzioni a seconda del tipo di concordato”.
In conclusione, la Suprema Corte ha dapprima sancito che l’effetto esdebitatorio del concordato (in questa fase coincidente con la falcidia concordataria) prosegue la propria operatività in caso di fallimento omisso medio in quanto solo la risoluzione ex art. 186 L.F., nei termini di legge, ne determina l’inapplicabilità in sede fallimentare nonché che il momento da cui inizia a decorrere il termine annuale per la risoluzione del concordato coincide solo ed esclusivamente con il momento previsto per l’ultimo adempimento del piano concordatario, a prescindere dalla tipologia di concordato.