19.02.2025 Icon

La Cassazione sui requisiti della continuità aziendale nel concordato preventivo

Con  sentenza n. 348/2025, la Corte di Cassazione chiarisce i requisiti essenziali per la continuità aziendale nel concordato preventivo, ribadendo la centralità dell’identità dell’attività d’impresa (Cass. Civ., Sez. I, 8 gennaio 2025, n. 348. Pres. Ferro. Est. Pazzi).

La Cassazione torna a pronunciarsi sul tema della continuità aziendale all’interno del Concordato preventivo, un istituto il cui uso è sempre più incentivato dal Legislatore, anche nell’ultimo decreto  correttivo ter chiaramente ispirato ad un  sempre crescente favor continuitatis..

Seguendo detta impostazione, la Cassazione si è pronunciata sulla preliminare questione relativa alle caratteristiche che permettono alla continuità aziendale di essere considerata tale, soprattutto nel contesto del c.d. concordato “misto”: “La continuità, implicando la prosecuzione della pregressa attività d’impresa e proprio al fine di assumere questa caratteristica, deve tuttavia riguardare, ove sia soltanto parziale, quanto meno una porzione significativa del nucleo aziendale, vale a dire (mutuando la terminologia utilizzata dall’art. 2112, comma 5, cod. civ.) un’articolazione funzionalmente autonoma dell’attività economica precedentemente organizzata che conservi la propria identità ed alla quale i beni sottratti alla liquidazione siano effettivamente strumentali.”.

Per potersi considerare tale, l’attività in continuità deve mantenere la propria identità quanto meno sotto il profilo qualitativo, ben potendo al contrario subire ridimensionamenti in termini quantitativi proprio in virtù della situazione di crisi o d’insolvenza, ma senza che essa possa venire completamente destrutturata o essere sostituita da un’attività diversa da quella precedentemente svolta. In altri termini, deve esservi identità tra l’attività prevista dal piano omologato e quella svolta antecedentemente al concordato stesso.

Nel caso di specie, il concordato era stato omologato dal Tribunale di Perugia sulla base di un piano “misto”, nella previsione di soddisfare i creditori in parte con i proventi diretti della prosecuzione dell’attività d’impresa, in parte con la vendita di due cespiti ritenuti non funzionali alla prosecuzione della stessa. Il ricorrente lamentava la violazione e la falsa applicazione dell’art.186-bis L.F, norma di riferimento per il concordato in continuità, ad un concordato in cui vengono poste in essere operazioni liquidatorie, non ritenendo dunque parificabile il concordato “misto” al concordato in continuità, al pari della relativa disciplina.

La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto sussistenti nel concordato in esame tutti i requisiti propri della continuità aziendale, conducendo un’analisi, rispettosa del criterio di prevalenza, del piano omologato, finalizzata ad accertare l’identità tra attività in continuità ante e post omologazione. “La conservazione di questa identità”, spiega  infine la Corte, “deve essere accertata in base al complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano la specifica operazione prevista in piano (tra cui, ad esempio, il tipo d’impresa, l’identità dell’attività produttiva, l’utilizzo, almeno in parte, della medesima forza lavoro, il tendenziale mantenimento della stessa clientela, la sottrazione alla liquidazione e la destinazione, almeno in parte, dei beni materiali già in precedenza utilizzati per lo svolgimento dell’attività)” Pertanto, la continuità dell’attività d’impresa, qualora fosse solo parziale, deve comunque riguardare una porzione significativa dell’attività economica svolta in precedenza, rispetto alla quale i beni sottratti alla liquidazione non sono effettivamente strumentali.

Autore Paola Malvina Colombo

Trainee

Milano

p.colombo@lascalaw.com

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