01.02.2023 Icon

Il fallimento del debitore non interrompe il giudizio di revocatoria a meno che…

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla peculiare vicenda di una azione revocatoria avente ad oggetto non già un atto di disposizione relativo ad un bene appartenente al soggetto all’epoca in bonis e poi fallito (di seguito, per comodità, Tizio), bensì un atto di disposizione compiuto da un debitore (di seguito, per comodità, Caio) del fallito, che a sua volta fallisce in pendenza del suddetto giudizio.

Dunque, l’azione revocatoria ex art. 66 L. Fall. promossa dal curatore del fallimento di Tizio era volta ad una declaratoria di inefficacia dell’atto nei confronti della massa in vista della successiva apprensione in via esecutiva del bene di cui il debitore si era spogliato. 

Ad avviso della Corte se, lite pendente, sopravviene il fallimento del debitore convenuto in revocatoria, l’assoggettabilità del bene ad espropriazione forzata, obiettivo ultimo di detta azione, diventa irrealizzabile poiché inibita dall’apertura della procedura concorsuale, salvo che la curatela del convenuto fallito non subentri nell’azione revocatoria in forza della legittimazione riconosciutagli dall’art. 66 L. Fall.

Infatti, la disposizione in parola attribuisce al curatore, nell’interesse della massa, la legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., in aggiunta all’azione revocatoria fallimentare di cui all’art. 67 L. Fall.

Si tratta, quindi, di una legittimazione ad esperire un’azione che, seppur postulante i medesimi presupposti di quella regolata dall’art. 2901 cod. civ., deriva da una procedura d’insolvenza ed è con essa strettamente connessa (così Cass., Sez. U, 26/04/2017, n. 10233, con l’affermare la devoluzione per competenza delle relative liti al tribunale fallimentare): si pone cioè a beneficio dell’intera massa e preclude la praticabilità di autonome iniziative da parte dei creditori. Né, ovviamente, la circostanza per la quale l’originario attore sia una procedura concorsuale  muta i termini della questione, atteso che, in tale contesto, si tratta pur sempre di un creditore come gli altri.

Ne discende che, effettuato il subentro nella lite del curatore, la legittimazione e l’interesse ad agire del creditore individuale vengono meno (restando l’esigenza di tutela della sua posizione assorbita in quella della massa dei creditori) e la domanda da lui proposta diviene improcedibile. In tale ipotesi, le esigenze di tutela del Fallimento originario attore possono trovare soddisfazione soltanto per equivalente pecuniario mediante insinuazione al passivo del debitore fallito.

Ciò in quanto, come ribadito dalla Corte non si è in presenza di due azioni, ma sempre dell’unica azione originaria, nella quale il curatore è subentrato avvalendosi di una speciale legittimazione sostitutiva rispetto a quella del singolo creditore.

Autore Luigia Cassotta

Associate

Roma

l.cassotta@lascalaw.com

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