29.01.2025 Icon

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nega le misure protettive: il piano è liquidatorio (ma non troppo)

Con la sentenza in commento il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere si è espresso nel senso della incompatibilità sulla questione, già dibattuta nella giurisprudenza di merito, della conciliabilità di un piano di risanamento a carattere meramente liquidatorio con la concessione del prolungamento degli effetti delle misure protettive ex art. 19 CCII o – in una prospettiva più generale – con l’accesso alla composizione negoziata.

Trib. Santa Maria Capua Vetere, 10 gennaio 2025, Est. Bernardel

È noto il contrasto giurisprudenziale relativo alla compatibilità di un piano meramente liquidatorio con il percorso della Composizione negoziata ed è proprio in questo contesto che si innesta la decisione sul ricorso ex art. 19 CCII proposto dalla società debitrice.

La questione oggetto della decisione in commento si rivela, di fatto, meramente interpretativa dell’istituto della cessione di azienda o di un ramo della stessa quale strumento per addivenire al risanamento della società, alla luce del disposto di cui all’art. 12, comma 2, CCII.

Il primo orientamento, più permissivo, è bene espresso in Tribunale di Perugia, ordinanza 15 luglio 2024, nella quale ha ritenuto che all’art. 12 CCII, laddove prevede che la “ragionevole perseguibilità del risanamento” possa aversi anche “mediante il trasferimento dell’azienda o di rami di essa e preservando, nella misura possibile, i posti di lavoro”.

Di segno opposto, invece, è, tra gli altri, il Tribunale di Bergamo, che con ordinanza del 15 febbraio 2022 – confermata anche in sede di reclamo – ha ritenuto che la composizione negoziata sia riservata alle imprese in cui risulta ragionevole il perseguimento del risanamento, con la conseguenza che risulta – sempre a parere del Tribunale – incompatibile questa condizione con lo stato di liquidazione.

Nel caso di specie, il Tribunale di SMCV, rilevando che le operazioni liquidatorie prospettate dalla società e consistenti, nei fatti, nel recupero di due grossi crediti non potessero in alcun modo essere qualificate come una cessione dell’azienda e/o di un suo ramo, con conseguente assenza di prospettive di continuità dell’attività di impresa, ha rigettato il ricorso, ritenendo di non dover confermare le misure protettive richieste dalla società.

In realtà l’orientamento è criticabile. Guardando infatti alle possibili conclusioni della Composizione negoziata ex art. 23 CCII, si può constatare che sicuramente sono privilegiate le ipotesi ove la continuità aziendale è contemplata mentre le soluzioni di carattere liquidatorio vengono poste solo “alternativamente”. Tuttavia, va evidenziato che queste risultano pur sempre contemplate.

Da ultimo, si evidenzia come la totale preclusione dei piani meramente liquidatori confina la possibilità di ristrutturazione facendo ricorso agli istituti più tradizionali come il concordato preventivo e la liquidazione giudiziale. Questi ultimi, tuttavia, da un lato comportano costi che riducono la percentuale di soddisfacimento dei creditori e, dall’altro, favoriscono il ricorso alla tutela giudiziale in presenza di situazioni ugualmente risolvibili in sede stragiudiziale.

In conclusione, si auspica che il focus della questione si sposti dal tentativo di inquadrare la composizione negoziata come processo unicamente volto alla continuità dell’impresa all’utilizzo dello stesso per la gestione dello stato di crisi anche con tecniche liquidatorie, laddove comportino una maggior soddisfazione del ceto creditorio.

Autore Beatrice Prina

Trainee

Milano

b.prina@lascalaw.com

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