Il Tribunale di Ferrara, con una recente sentenza, ha apportato nuova linfa all’istituto del sindacato di ritualità del Tribunale, previsto dall’art. 25-sexies, comma 3, C.C.I.I., in relazione al ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio e alla possibilità di revoca ex art. 106 C.C.I.I. del decreto di ammissione alla procedura.
Come ben sappiamo, il sindacato di ritualità è quella fase processuale spettante al Tribunale e prodromica alla pronuncia del decreto di apertura del concordato semplificato (con il quale altresì nomina l’ausiliario e ordina la comunicazione della proposta ai creditori fissando altresì la udienza per l’omologazione) che ha per oggetto la valutazione sulla sussistenza delle condizioni di procedibilità della proposta, acquisendo la relazione finale dell’esperto e il parere di quest’ultimo con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte.
Nel concordato semplificato la valutazione sulla ritualità della proposta è stata oggetto di grande dibattito, dottrinale e giurisprudenziale, grazie al quale è stato possibile delineare con maggiore chiarezza e praticità il contenuto della disposizione di cui all’art. 25-sexies C.C.I.I.
Il collegio ferrarese ha fatto proprio un precedente giurisprudenziale che ha affermato il principio secondo il quale il controllo sulla ritualità della proposta ha come oggetto anche la verifica della legittimità sostanziale della stessa (cfr. Corte d’Appello di Milano, decreto n. 2407/2023 del 13.07.2023) nel cui ambito è ricompreso anche l’esame della sua non manifesta implausibilità. Una proposta concordataria è manifestamente implausibile quando affetta da incompatibilità con norme imperative e quando la proposta si dimostri funzionalmente implausibile alla soddisfazione del ceto creditorio, secondo gli obiettivi prefissati.
L’orientamento de quo risponde a ragioni di economia processuale e di contenimento dei costi della procedura, nell’ottica di preservare il patrimonio del debitore nell’interesse del ceto creditorio che vede la propria posizione indebolita dal mancato esercizio del voto.
Il concetto della “manifesta implausibilità”, per la verità, trae origine da correnti giurisprudenziali in materia di concordato preventivo, ed è discusso possano applicarsi per analogia le norme del concordato preventivo, poiché, pur rientrando nell’alveo delle procedure concorsuali, non ne costituisce una diretta derivazione se non quando vi sia un espresso richiamo.
Tornando al caso che ci occupa, il Tribunale di Ferrara nel provvedimento in esame, sulla scorta delle criticità emerse nonché della relazione depositata dall’ausiliario, ha ritenuto il concordato semplificato promosso dalla ricorrente meritevole di revoca.
Tra gli elementi fondanti la revoca de qua troviamo: l’insuperabile problema della fattibilità del piano; la scarsa trasparenza delle scritture contabili; l’impossibilità dell’ausiliario di poter redigere un completo inventario dei beni mobili e delle rimanenze di magazzino; l’inattendibilità dell’attivo e del passivo nel bilancio d’esercizio; la considerevole differenza sul valore dell’azienda in base a quanto indicato nella perizia di parte e quella del perito del tribunale; l’irragionevole ipotesi di liquidazione del patrimonio tramite una vendita atomistica “a prezzo di stralcio” al posto della – più opportuna – cessione d’azienda in blocco (da notare che trattasi di una proposta di concordato semplificato “con continuità aziendale”).
Considerato quanto sopra, il Collegio ha così motivato la revoca dall’ammissione alla procedura di concordato semplificato: “A tali motivi di inammissibilità legati alla inverosimiglianza del piano ed alla impossibilità di verificare la correttezza della appostazioni contabili e la veridicità dei dati aziendali (sorprende invero che una impresa che ha percorso la composizione negoziale per otto mesi e che ha presentato un concordato non lo abbia fatto con la contabilità riconciliata e verificata, cosa che accade usualmente) si sommano quelli relativi alla omissione di informazioni al Collegio prima ed ai creditori in seguito.
1) Nel ricorso non si è evidenziato al giudice che l’affittuaria fosse già morosa al momento della presentazione della proposta (7 maggio 2024) di ben euro 186.662,44 per canoni di affitto di azienda e fatture relative al contratto estimatorio. Tale morosità pare essere stata quasi interamente recuperata ma ciò non toglie che doveva essere rappresentato al Collegio che la affittuaria, sulla capienza della quale si basa tutto il piano, era già morosa di una rilevante somma già prima del ricorso concordatario. (…) 2) Non è stata in alcun modo, in relazione alla ipotesi comparativa degli esiti della liquidazione giudiziale, esaminata la esperibilità di azioni risarcitorie verso gli organi di amministrazione nonché’ di azioni revocatorie. (…) Per contro il piano proposto e lacunoso, reticente e in certune parti meramente assertivo: il difetto di completezza e di trasparenza del piano in punto di indicazione del valore di liquidazione, si traduce in un grave difetto di ammissibilità del piano anche e soprattutto perché i creditori nella procedura de quo non votano e quindi deve essere data loro la massima e più esaustiva possibile informazione ai fini di una possibile opposizione. Per questi motivi, ovvero per la verificata inidoneità delle assunzioni di piano a sostenere in maniera verosimile la proposta, e per la violazione dell’obbligo di correttezza e buona fede del debitore verso le parti del processo, tra cui il giudice, e verso i creditori, il decreto di apertura del 13.6.24 merita di essere revocato. PQM Revoca la apertura del concordato semplificato proposto da 7.5.24 pronunziata con decreto del 13.6.24. Per l’effetto dichiara cessate le misure protettive”.
In conclusione, dal provvedimento de quo si evince chiaramente che sebbene il concordato semplificato sia considerato come “l’ultima spiaggia” per la ristrutturazione dei debiti sociali, anche tramite la liquidazione del patrimonio sociale, questo non può prescindere dalla sua fattibilità (e da un severo controllo del Tribunale su di essa) nonché sulla correttezza e buona fede del ricorrente nei confronti di tutti i soggetti attori del procedimento per la sua omologa, pena la revoca del provvedimento di ammissione ex art. 106 C.C.I.I.