01.08.2022 Icon

Concordato semplificato, come intendere la buona fede?

“Al fine di valutare la ritualità della proposta di concordato semplificato sotto il profilo della buona fede e della correttezza nella conduzione delle trattative svoltesi nell’ambito della composizione negoziata, il tribunale può invitare il debitore a specificare se sussistono, con riferimento all’alternativa fallimentare, i presupposti per l’esperimento di azioni revocatorie, risarcitorie o restitutorie, oltre a chiedere all’esperto di esprimere parere al riguardo”.

È questo il principio di diritto formulato dal Tribunale di Ivrea (decreto 27 maggio 2022)[1], chiamato a pronunciarsi in merito alla ritualità di una tra le prime istanze di accesso al concordato per la cessione dei beni (c.d. “concordato semplificato”) depositata, ai sensi dell’art. 18 Legge n. 147/2021, da un’impresa commerciale all’esito di una composizione negoziata conclusasi negativamente. 

Come noto, il concordato semplificato non è una procedura autonoma: ad essa può accedere il debitore solamente dopo aver esperito la composizione negoziata.

Non è, tuttavia, sufficiente per l’imprenditore depositare la domanda di nomina dell’esperto. La condizione di cui sopra si intende, infatti, soddisfatta solamente nel caso in cui il “percorso”, per utilizzare un termine caro al Legislatore di agosto, sia stato effettivamente avviato in quanto l’esperto ha ritenuto ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa.

Altra particolarità del nuovo istituto è rappresentata dalla circostanza che, per ragioni di celerità e speditezza, la fase deputata a vagliare l’ammissibilità della proposta viene sostituita da quella finalizzata ad accertarne la ritualità.

Sul punto rileva, dunque, l’art. 18, co. 1, Legge n. 147/2021, il quale, oltre a prevedere un termine per il deposito del ricorso, subordina l’accesso al concordato semplificato a una serie di requisiti. In particolare, l’esperto deve ritenere che:

  • le trattative si siano svolte secondo correttezza e buona fede, ma ciononostante non hanno avuto esito positivo;
  • le soluzioni negoziali previste dall’art. 11, commi 1 e 2, L. n. 147/2021 non fossero concretamente praticabili.

Premesso ciò, si pone un problema: come deve tradursi nei fatti il requisito della buona fede e correttezza nelle trattative durante la composizione negoziata?

La dottrina ci viene in soccorso, affermando che l’anzidetto requisito possa ritenersi soddisfatto quando, durante la composizione negoziata, i creditori siano stati posti nella condizione di valutare una proposta di accordo effettivamente migliore rispetto all’alternativa liquidatoria, tenuto conto anche delle azioni revocatorie, risarcitorie o restitutorie eventualmente esperibili dalla Curatela in caso di apertura del fallimento.

Il Tribunale di Ivrea sembrerebbe aver fatto proprio l’orientamento dottrinale sopra richiamato.

Nel caso di specie, sulla scorta del compendio documentale versato in atti, non veniva considerato sussistente il requisito della buona fede e correttezza poiché la società debitrice non avrebbe “(…) pienamente scrutinato, in una logica secondo buona fede e correttezza di adeguata discloisure (…)” la fattibilità delle azioni di cui agli artt. 64, ss., L.F.

Conseguentemente, l’adito Tribunale, pur ritenendo in prima face rituale la proposta, tanto da nominare l’ausiliario e fissare l’udienza per l’omologa, imponeva al debitore di fornire chiarimenti in merito alla sussistenza della buona fede e della correttezza nel corso delle trattative, onerando al tempo stesso l’esperto di aggiornare il parere circa i presumibili risultati della liquidazione.

Il decreto in commento, al netto della sua natura di provvedimento interinale, costituisce un valido precedente, tenuto conto che il numero di ricorsi per l’omologa di un concordato semplificato, stante la naturale archiviazione di alcune composizioni avviate nei mesi scorsi, è destinato a crescere. 

Autore Frank Oltolini

Associate

Milano

f.oltolini@lascalaw.com

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