Con il decreto in commento, il Tribunale di Brescia affronta il tema dell’accesso al concordato minore di una società attiva, sorretta da finanza esterna, ma che non sia in grado di documentare l’idoneità dei flussi di cassa previsti a garantire il puntuale pagamento dei debiti correnti.
In particolare, nel caso di specie una società formulava proposta di concordato minore, che prevedeva il soddisfacimento integrale delle spese di procedura e il pagamento dei creditori nella misura del 7%, sia per i privilegiati sia per i chirografari. La proposta sarebbe stata sorretta da finanza esterna, per la somma di 15.000, versata dal finanziatore a titolo di liberalità.
A seguito dell’apertura della procedura e della mancata approvazione della proposta concordataria da parte dei creditori, la società chiedeva che il concordato, pur non approvato dai creditori, venisse comunque omologato. Avverso tale domanda di omologa proponevano opposizione alcuni creditori, proprietari dell’immobile locato alla società debitrice, i quali rilevavano come l’insolvenza della società non sarebbe venuta meno anche in caso di omologazione del concordato, atteso la conduttrice non aveva neppure pagato i canoni di locazione dovuti per il periodo successivo all’apertura della procedura.
Il Tribunale, nel rigettare la domanda di omologa, ha evidenziato come la causa giuridica del c.d. “concordato minore”, come del resto degli altri strumenti di regolazione della crisi, consista nell’eliminazione dello stato di insolvenza. In tale prospettiva, laddove il concordato proposto preveda la continuazione dell’attività d’impresa, è onere del ricorrente allegare e dimostrare che, attraverso il concordato e il conseguente stralcio dei crediti concorsuali non soddisfatti, l’impresa sia in grado di rimanere in attività.
Ne deriva che, al fine di ottenere l’omologa, la società ricorrente avrebbe dovuto indicare i propri costi e ricavi attesi e provare di essere in grado, una volta omologato il concordato, di far fronte alle proprie obbligazioni, circostanza che, al contrario, non era stata dimostrata nel caso di specie.
Al contrario, il Tribunale ha rilevato come il mancato pagamento, alla regolare scadenza degli stessi, dei canoni di locazione maturati dopo il deposito della domanda costituisca addirittura un elemento di prova di senso contrario, cioè idoneo a indicare l’impossibilità dell’impresa di garantire il puntuale pagamento dei debiti maturati in corso di procedura. Tale conclusione, peraltro, prescinde dal fatto che la società abbia medio tempore provveduto al saldo dei canoni di locazione scaduti, dal momento che l’OCC, nell’allegare tale pagamento, non ha precisato con quale denaro sarebbe stato effettuato il pagamento, né ha dimostrato che i flussi di cassa della società sarebbero stati, in futuro, in grado di garantire il puntuale adempimento degli altri obblighi via via maturati.
In conclusione, dunque, il Tribunale ha rigettato la domanda di omologa e condannato la ricorrente a rifondere agli opponenti le spese di lite.