In mancanza della prova da parte della Banca di aver svolto l’analisi del merito creditizio e della capacità di rimborso del soggetto finanziato, l’opposizione allo stato passivo proposta dalla Banca – esclusa dal passivo – che abbia erogato un finanziamento con garanzia statale ad un soggetto poi sottoposto a liquidazione giudiziale deve essere rigettata.
Tribunale Pescara, 2 Luglio 2024
Il provvedimento oggetto del presente commento ha rigettato l’opposizione allo stato passivo effettuata da una Banca, escludendo dunque dal passivo il credito della Banca stessa costituito da un mutuo garantito da MCC.
Il Tribunale di Pescara ha ritenuto nullo per difetto di causa il contratto di finanziamento il cui scopo era stato indicato con la dicitura “reintegro circolante” e, dando continuità ad un orientamento a nostro avviso non condivisibile inaugurato dalla pronuncia del Tribunale di Asti dell’8 gennaio 2024, in quanto la Banca non avrebbe fornito la prova di aver svolto l’analisi del merito creditizio e della capacità di rimborso del finanziato.
Il decreto a nostro avviso è affetto da molteplici errori.
In primo luogo, il Collegio abruzzese ha erroneamente affermato che spetterebbe “all’impugnante dimostrare, sul piano logico-argomentativo, l’errore commesso dal giudice delegato nel ritenere provato quel determinato fatto. In altri, ma equivalenti, termini: l’impugnante ha un onere dimostrativo primario della fondatezza dei motivi di gravame con cui si censura l’accertamento del fatto (ossia, della ragione di critica rivolta alla decisione nella parte in cui ha ritenuto provato il fatto), fermo restando che, assolto tale onere, la regola di riparto della prova dei fatti principali rilevanti ai fini dell’esistenza del diritto controverso è quella ordinaria di cui all’art. 2697 c.c.”.
Si tratta di affermazione che non trova alcun supporto nella giurisprudenza di legittimità, tantomeno nei precedenti richiamati in motivazione, i quali attengono alla diversa questione inerente all’assolvimento dell’onere della prova in capo all’opponente e, in particolare, alla necessità o meno per quest’ultimo di riprodurre i documenti allegati alla domanda di ammissione al passivo, ora definitivamente negata dalle citate pronunce, essendo sufficiente il mero richiamo specifico a detti documenti.
Del resto, per quanto sia corretto affermare che il giudizio di opposizione allo stato passivo ha natura impugnatoria, da ciò non deriva affatto alcun onere in capo all’opponente di “dimostrare” l’erroneità della motivazione sottesa al provvedimento impugnato, atteso che la giurisprudenza di legittimità e di merito ha costantemente affermato che il creditore è tenuto, anche nell’ambito del giudizio di opposizione, a dimostrare unicamente la fonte del proprio credito e la sussistenza dello stesso. In tal senso si è espressa chiaramente la giurisprudenza di legittimità: “Il procedimento di opposizione allo stato passivo del fallimento si configura come un vero e proprio giudizio ordinario di cognizione in cui trovano applicazione le regole generali in tema di onere della prova. Da ciò consegue che l’opponente è tenuto a fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto di credito, mentre grava sulla curatela l’onere di dimostrare l’esistenza di fatti modificativi, impeditivi o estintivi dell’obbligazione” (rif. Cass. 10 gennaio 2024, n. 949).
L’affermazione contenuta nel provvedimento esaminato risulta poi chiaramente contraddittoria con quanto sostenuto dal medesimo Tribunale poco sopra, ove correttamente si ricorda che “i giudizi di opposizione e impugnazione si atteggiano quali nova iudicia”, così potendosi escludere alla radice non solo il ritenuto onere dell’opponente di addirittura “dimostrare” l’erroneità della motivazione del decreto impugnato, ma anche solo di allegarla.
Infatti, è evidente che diversamente opinando si introdurrebbe nell’ambito del giudizio di opposizione allo stato passivo un’evidente e inammissibile inversione dell’onere della prova in capo al creditore opponente, il quale sarebbe tenuto non solo ad allegare e dimostrare la fonte del credito insinuato e l’esistenza dello stesso, ma addirittura l’erroneità del provvedimento di esclusione.
Si tratta di conclusione del tutto inaccettabile, la quale consentirebbe un’ingiustificata agevolazione della posizione processuale del Curatore, il quale potrebbe limitarsi ad invocare a fondamento della proposta di esclusione del credito insinuato circostanze indimostrate, eventualmente anche sulla base di tesi giuridiche infondate, confidando nell’adesione, spesso acritica, da parte del Giudice Delegato al progetto di stato passivo sottopostogli, così ponendo in capo al creditore opponente oneri di allegazione e probatorio normalmente insussistenti.
Ciò doverosamente premesso dal punto di vista concettuale, si osserva che il Tribunale di Pescara ha posto erroneamente a carico della Banca opponente l’onere di provare di aver svolto una corretta analisi del merito creditizio, dal momento che è noto come nel procedimento di verifica del passivo è il Curatore a dover allegare i fatti impeditivi ed estintivi della pretesa del creditore, nonché a fornire la prova nella specie della presunta conoscenza da parte della Banca dello stato di decozione della società all’epoca della erogazione del finanziamento.
In altre parole, spetta al solo Curatore allegare e dimostrare la sussistenza dei presupposti per l’accertamento – incidentale – della nullità del contratto.
Inoltre, e nel merito, il Tribunale ha ritenuto di rigettare l’opposizione allo stato passivo, ritenendo il mutuo affetto da nullità per non avere la Banca svolto adeguata istruttoria.
Secondo il Tribunale di Pescara tale aspetto “denota la contrarietà dell’operazione di finanziamento alle norme che regolano l‘attività bancaria, in virtù della conoscenza dello stato di insolvenza del soggetto finanziato. Le disposizioni operative del Fondo di garanzia per le PMI prevedono, infatti, che “Ai fini dell’ammissibilità della garanzia, i soggetti beneficiari finali: d) non devono presentare esposizioni nei confronti del soggetto finanziatore classificate come inadempienze probabili o scadute e/o sconfinanti deteriorate ai sensi del paragrafo 2. Parte B. della predetta circolare n. 272 del 2008 della Banca d’Italia. Tale condotta è «preordinata alla violazione delle regole di correttezza che governano le relazioni di mercato e alla costituzione di fattori di disinvolta attitudine “predatoria” nei confronti di soggetti economici in dissesto» (Cass. 16706/2020: Cass. 2014/2018: Cass. 9441/2010; Cass. 5371/1987)”.
Si tratta di una conclusione non condivisibile in quanto non constano precedenti di legittimità che abbiano sostenuto la tesi della nullità dei mutui concessi da banche a società in stato di crisi in caso di mancata istruttoria del merito creditizio per negligenza. Sinora, infatti, la Cassazione ha riconosciuto la sola responsabilità della Banca per concessione abusiva di credito, con conseguente possibilità di porre in capo alla Banca stessa il risarcimento dei danni arrecati alla società e/o ai suoi creditori, senza però che sia inficiata la validità e l’efficacia del relativo finanziamento.
Peraltro, seguendo la infondata tesi della nullità dei mutui garantiti, a nostro avviso non si ravvisano benefici per lo Stato che sarebbe comunque tenuto a liquidare la garanzia che non risulta compromessa dalla nullità del contratto, trattandosi di credito che sorge ex lege, tenuto altresì conto che le Disposizioni Operative del Fondo di garanzia per le PMI prevedono che la banca garantita è tenuta unicamente a proporre l’insinuazione al passivo senza che rilevi l’eventuale esclusione, la quale, quand’anche motivata dalla nullità del finanziamento e confermata all’esito dell’opposizione, non può assumere rilevanza al fine di consentire a MCC, quale gestore del Fondo, di non liquidare la garanzia e ciò in ragione di quanto previsto dall’art. 96, u.c., l.f., disposizione ripresa nel Codice della Crisi dall’art. 204, u.c..
Ricordiamo, inoltre, come di recente la giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale di Monza, decreto n. 737/2024 del 4 luglio 2024, commentata su questa stessa rivista), circa la asserita nullità del contratto di finanziamento garantito da MCC e utilizzato per fini di consolidamento, ha affermato che, in forza dell’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità e di merito, il mutuo erogato in funzione solutoria di un debito pregresso non è di per sé invalido (rif. Cass., 25 luglio 2022, n. 23149). Inoltre, la stessa giurisprudenza ha osservato che una recentissima pronuncia della Suprema Corte ha chiarito che il mutuo per ripianare un debito preesistente non è una mera dilazione del pagamento, ma comporta un effettivo spostamento di denaro. L’accredito delle somme erogate e il loro utilizzo per estinguere il debito preesistente costituiscono una datio rei giuridica che purga il patrimonio del mutuatario da una posta negativa (rif. Cass., 27 aprile 2024, n. 5151).
Tanto premesso, il solo intento programmatico di ripianamento non può impedire alla Banca di ottenere l’ammissione al passivo.
Non resta che attendere le prossime pronunce di Cassazione, che verranno rese a seguito di dette pronunce di merito, per poter prendere atto di un orientamento definito.