Sussiste concessione abusiva di credito qualora la banca mantenga un’apertura di credito che consenta la continuità aziendale di un’impresa ormai in crisi, contribuendo all’aggravamento del dissesto e a ritardare la dichiarazione di fallimento. Tale negozio deve considerarsi nullo per contrarietà a norme imperative, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c., con conseguente esclusione dal passivo fallimentare.
Sulla base di tale ragionamento, il Tribunale di Ferrara ha rigettato un’opposizione allo stato passivo promossa da una banca avverso il provvedimento di esclusione adottato dal Giudice Delegato in sede di verifica crediti.
In particolare, l’istituto di credito chiedeva l’ammissione al passivo, in via privilegiata ipotecaria, di un saldo debitore di conto corrente, tecnicamente idoneo a consentire un rientro rateale del debito, su cui le parti, di comune accordo nel 2021, trasferivano contabilmente il debito generatosi da un’apertura di credito in conto corrente concessa dalla banca nel 2011 e garantita da ipoteca.
La disponibilità finanziaria derivata dall’apertura di credito veniva utilizzata dalla società per l’estinzione di precedenti passività chirografarie nei confronti della banca, dando contestualmente origine a passività di analogo importo, ma garantite da ipoteca.
Il Giudice Delegato, su proposta del Curatore, escludeva detto credito, rilevando la nullità dei due contratti del 2011 e del 2021 ai sensi dell’art. 1418 c.c. per difetto e illiceità della causa concreta in quanto, alla luce delle risultanze della centrale rischi del fallito, quest’ultimo non presentava adeguate condizioni di affidabilità e capacità di rimborso dei finanziamenti concessi.
Mediante l’opposizione allo stato passivo la banca sosteneva, in primo luogo, come nel 2011 non esistevano indicatori di conclamata insolvenza, sfociata dopo oltre un decennio nella dichiarazione di fallimento. Inoltre, rilevava come il consolidamento con ipoteca di anteriori esposizioni debitorie chirografarie non comportava la nullità del contratto per illiceità della causa, non esistendo per le parti un divieto di porre in essere atti recanti pregiudizio ai creditori.
Nonostante ciò, il Tribunale di Ferrara ha ritenuto, sulla scorta delle motivazioni addotte dal fallimento, di seguire la giurisprudenza relativa alla responsabilità della banca per concessione abusiva di credito, ossia la condotta del finanziatore che continui a concedere credito in favore dell’imprenditore in stato in insolvenza, con conseguente nullità dei finanziamenti erogati.
Secondo il Tribunale, nel caso di specie, la banca aveva dapprima erogato e poi mantenuto l’affidamento all’odierna fallita, garantendone la continuità aziendale nonostante il dissesto del quale doveva essere a conoscenza. Ciò in quanto dalle risultanze della Centrale Rischi dell’epoca emergevano elementi di incertezza poi peggiorati negli anni seguenti, durante i quali aumentava vistosamente l’indebitamento della società nei confronti dell’erario. Inoltre, già dal 2014 altri istituti bancari segnalavano a sofferenza la debitrice, lasciando sola la banca ricorrente a mantenere attiva la linea di credito, seppur ridotta gradualmente.
Tali circostanze avrebbero giustificato il recesso della banca dall’apertura di credito che, invece, non è avvenuto, consentendo la prosecuzione dell’attività aziendale aggravandone il dissesto e ritardandone la dichiarazione di fallimento, integrando, ad avviso del Collegio, anche la fattispecie criminosa di bancarotta semplice.
Pertanto, l’opposizione è stata rigettata e il contratto di apertura di credito è stato considerato nullo per contrarietà a norme imperative, ai sensi dell’art. 1418 c.c.
Ebbene, la pronuncia riprende argomentazioni già utilizzate da parte della giurisprudenza di merito. Non constano, invece, precedenti di legittimità che abbiano sostenuto la tesi della nullità dei mutui concessi da banche, allorché la società finanziata versasse in situazione di crisi o addirittura di insolvenza, nel caso in cui tale situazione non sia stata accertata dalla banca a causa della sua negligenza.
In tali casi, infatti, la Cassazione ha sinora individuato la sola responsabilità della banca per concessione abusiva di credito, con conseguente possibilità di porre a capo della banca stessa il risarcimento dei danni arrecati alla società e/o ai suoi creditori, senza però mettere in discussione la validità e l’efficacia del relativo finanziamento.
Peraltro, in tutti i precedenti di merito, ivi compreso quello di Ferrara qui esaminato, che hanno affermato la nullità del finanziamento richiamando il concorso della banca ai sensi dell’art. 217 l.f., la posizione della banca viene in rilievo unicamente per l’asserita violazione del canone di diligenza in relazione all’erogazione o al mantenimento del credito, senza che però vengano in alcun modo approfonditi gli ulteriori presupposti soggettivo e oggettivo della disposizione penale richiamata, con riferimento non solo alla banca, ma innanzitutto alla posizione dell’amministratore sociale, il quale in tale reato agisce quale intraneus.