“Non necessariamente l’omessa pronunzia integra un errore revocatorio: ciò accade solo allorché, in relazione alle circostanze emergenti ictu oculi dalla lettura della decisione e dal confronto immediato con gli atti processuali, si dimostri che l’omissione rappresenta il frutto di un abbaglio sensopercettivo del giudicante.
L’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, senza coinvolgere la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento.
Va quindi revocata la sentenza nella quale solo formalmente il Giudice affronti uno o più motivi di appello ma, di fatto, decida sulla base di un mero convincimento erroneamente assunto da un punto di vista cognitivo della doglianza”.
Cons. Stato, sez. V, 11 settembre 2023, n. 8265
1. Il caso – Una società calcistica impugnava avanti al TAR il provvedimento denegatorio della licenza nazionale 2021/22, con conseguente non ammissione al campionato di Serie B, e la conseguente decisione della FIGC di escluderla dal relativo campionato; con motivi aggiunti veniva impugnato anche il provvedimento di svincolo d’autorità dei calciatori tesserati. Come atto presupposto veniva impugnato il c.d. manuale operativo per le iscrizioni ai campionati di calcio.
Il TAR respingeva il ricorso, rimarcando che la società era stata posta tempestivamente a conoscenza dei requisiti richiesti e puntualizzando che, ai fini dell’impugnazione del ‘manuale’, la società ricorrente avrebbe dovuto rispettare l’obbligo della cd. pregiudiziale sportiva, imposto dal D.L. n. 220/03 quale vincolo ineludibile per la proposizione del ricorso giurisdizionale: il che non era avvenuto, posto che le relative ragioni di doglianza (una a quelle criticamente formulate contro lo svincolo dei tesserati) erano state dedotte direttamente avanti al giudice amministrativo.
Il TAR inoltre sanzionava di irrilevanza la proposta questione di legittimità costituzionale della normativa tributaria emessa nel periodo emergenziale della pandemia.
La società impugnava la decisione dinanzi al Consiglio di Stato che, con sentenza n. 9876/2022, respingeva l’appello, condividendo, in sostanza, il giudizio espresso dal primo giudice in ordine al difetto di rilevanza della dedotta questione di costituzionalità della normativa tributaria emergenziale.
Con ricorso per revocazione, il Fallimento (frattanto sopravvenuto) della società impugnava la sentenza per errore di fatto, rilevante ex artt. 106 c.p.a. e 395.1 n. 4 c.p.c.., in relazione alla travisata acquisizione dei termini della argomentata questione di illegittimità costituzionale: la sentenza revocanda avrebbe sostanzialmente omesso di decidere sul primo motivo di appello, con il quale si era denunziato l’errore (frutto, in tesi, di una vera e propria inversione logica) in cui sarebbe incorso il TAR Lazio nell’aver ritenuto che la dedotta questione di illegittimità costituzionale della normativa emergenziale sarebbe stata rilevante soltanto ove fosse stato ritualmente impugnato il manuale (o ‘sistema’) delle licenze.
2. La motivazione – Il Collegio precisa anzitutto che non necessariamente l’omessa pronunzia integra un errore revocatorio: ciò accade solo allorché, in relazione alle circostanze emergenti ictu oculi dalla lettura della decisione e dal confronto immediato con gli atti processuali, si dimostri che l’omissione rappresenta il frutto di un abbaglio sensopercettivo del giudicante.
Va poi precisato che, per consolidato intendimento, l’errore di fatto, idoneo a legittimare la domanda di revocazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 106 c.p.a. e 395.1 n.4 c.p.c. è confìgurabile nell’attività preliminare del giudice relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo (quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale), ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento, di apprezzamento, di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del suo convincimento, che può prefigurare esclusivamente un errore di giudizio.
L’errore in fatto dunque può ritenersi sussistente quando: a) derivi da una semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale; b) sia accertabile e riscontrabile, attesa la genesi sensopercettiva, con immediatezza, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche; c) attenga ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia, comechessia, espressamente motivato; d) concreti elemento decisivo della decisione revocanda, necessitando, a tal fine, un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e il decisum (cfr. Cons. Stato, sez V, n. 1610/2017).
Ne discende che l’errore di fatto revocatorio è confìgurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, senza coinvolgere la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento.
In esso, quindi, possono rientrare i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo, ma ne devono essere escluse le ipotesi di erroneo, inesatto (o anche solo incompleto: cfr. Cons. Stato, AP 21/2016) apprezzamento delle risultanze processuali, di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero i casi in cui la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita: tutte ipotesi, queste ultime, che danno luogo semmai ad un ipotetico errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, la quale altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall’ordinamento.
Su tali premesse, il Collegio ritiene che, non avendo la società validamente (e tempestivamente) impugnato il ‘sistema delle licenze” (ed il pedissequo ‘svincolo’ dei tesserati), incorrendo nella relativa decadenza – la stessa risultasse, sul piano delle condizioni processuali, priva di rilevanza, atteso che, anche ove ipoteticamente accolta dalla Corte costituzionale, non avrebbe comunque potuto portare all’annullamento, ormai precluso, del sistema delle licenze o alla ricostituzione del diritto della società sui propri tesserati.
In realtà la società aveva articolato diversamente la questione, non ponendo in discussione il requisito della regolarità fiscale in quanto tale, ma revocando in dubbio la legittimità costituzionale della normativa tributaria, nella parte in cui aveva finito per incidere negativamente sulla propria posizione legittimante all’interno del procedimento sportivo.
La sentenza impugnata, in effetti, non coglieva il punto, limitandosi a ribadire la (decisiva) inoppugnabilità in parte qua del sistema delle licenze, da cui ha tratto il corollario della irrilevanza della questione di costituzionalità.
La sentenza ha dunque omesso, in concreto, di pronunziarsi e pertanto, sotto tale profilo, va revocata.