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Ecobonus e sgravi sulle auto Aiuti a fondo perduto

Passa la fiducia sul decreto Rilancio

Il nodo dei 148 provvedimenti attuativi

Una corsa contro il tempo. Che costringe il governo a chiedere la fiducia (e ad ottenere l’approvazione) e far avvicinare il decreto Rilancio alla fine del suo iter parlamentare fino a diventare finalmente legge. Ieri la Camera, con il voto di fiducia, ha approvato con 318 sì (231 no e 2 astenuti) il decreto da mesi in gestazione, partito in aprile per sostenere l’economia italiana nel difficilissimo post coronavirus. Il provvedimento scadrà il 18 luglio, quindi dopo l’ok dei deputati, la prossima settimana i senatori dovranno limitarsi a convertirlo in legge senza poter apporre modifiche. Le misure approvate ieri sono, quindi, ormai quelle definitive.

La maxi manovra da oltre 55 miliardi contiene numerose misure dedicate al lavoro, alle famiglie, alle imprese. Un omnibus che va dal rafforzamento bonus per bici e auto (quest’ultimo inserito durante l’ultimo esame in commissione Bilancio) al rinnovo degli ammortizzatori sociali, dallo stop ai pagamenti dell’Irap ai bonus babysitter anche per i centri estivi e quelli per colf e badanti, dalla sanatoria per i migranti, all’allungo della cassa integrazione. E poi il Superecobonus al 110% per le ristrutturazioni anche per le seconde case e i bonus 600 euro per professionisti e autonomi, il credito d’imposta sugli affitti commerciali e i contributi a fondo perduto per le aziende fino a 5 milioni di euro di fatturato annuo, il reddito di emergenza e lo smartworking prorogato per i dipendenti pubblici fino al 31 dicembre 2020, fino ai 3 miliardi di euro per rifinanziare Alitalia e i 300 milioni di euro per le scuole paritarie. Tra le novità, inserita con un emendamento di Forza Italia e approvata in maniera bipartisan anche la proroga al 2033 delle concessioni balneari, misura che in realtà era prevista già nella legge di Bilancio 2018 ma che molti enti locali non avevano applicato con il rischio che numerosi imprenditori balneari si sarebbero ritrovati a fine anno senza concessione. La misura blocca però ancora una volta la messa all’asta delle spiagge come invece prevede l’Europa, con canoni, in molti casi, davvero molto bassi e introiti per le casse dello Stato di appena 105 milioni di euro all’anno.

Nonostante il voto di fiducia, per il decreto Rilancio il tempo stringe lo stesso. L’ampiezza della manovra di luglio richiede infatti tutta una serie di provvedimenti attuativi che rischiano di rallentarla e di arrivare in ritardo con aiuti e incentivi. Lo spiega il deputato Bruno Tabacci, gruppo Cd-Ri-+Eu: «Messi in fila fanno una certa impressione: serviranno 9 dpcm su proposta dei ministeri interessati; 41 decreti ministeriali da emanare di concerto con il Mef; 15 decreti del Mef di concerto con altri ministeri o con la Conferenza Stato-Regioni; 18 decreti del Mef senza concerto». In tutto, 148 decreti: «Ci sarà da correre — dice Tabacci — mi auguro che saremo in grado di reggere questo ritmo».

«Montepaschi, lo Stato fuori nel 2021»

l governo rispetterà il termine del 2021 per uscire dall’azionariato del Monte dei Paschi di Siena. Lo ha annunciato ieri il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, in un’intervista a Bloomberg Tv. «Naturalmente rispetteremo la deadline» di fine 2021 prevista dagli accordi presi nel 2017 con la Commissione europea per la fine della «ricapitalizzazione precauzionale» grazie alla quale lo Stato è potuta entrare fino al 68% nel capitale dell’istituto senese ora guidato da Guido Bastianini con un investimento da complessivi 6,9 miliardi di euro. Oggi Mps in Borsa capitalizza 1,73 miliardi; la quota in mano al Tesoro vale 1,2 miliardi, con una perdita potenziale enorme.

Gli accordi con la Ue prevedono comunque l’uscita del Tesoro dal capitale entro la fine dell’anno prossimo e per questo Via XX Settembre deve comunicare alla Direzione Concorrenza (Dg Comp) del commissario Ue Margrethe Vestager le possibili vie d’uscita. «Il primo passo del processo è stato fatto con l’operazione di de-risking (cioè la scissione di un ramo d’azienda con 8 miliardi di crediti deteriorati, ndr) realizzata con Amco, accordo sostenuto dalla Commissione Ue. È un passo molto importante del processo che sarà completato con l’uscita». Secondo Gualtieri, quella di Rocca Salimbeni «sarà una storia di successo» di una crisi bancaria: «avremo una banca rimessa in piedi» e in grado di ritornare (ai privati, ndr) probabilmente in un’operazione di consolidamento».

Ubi è sempre stata considerata tra le banche più indicate ma si trova sotto ops di Intesa Sanpaolo e quindi potrebbe essere fagocitata. Resta Banco Bpm: i rumor su una fusione si sono riaccesi di recente. «Non posso commentare», ha glissato Gualtieri, «stiamo lavorando sul de-risking» — che si concluderà a dicembre, secondo le attese — «e sul completamento delle operazioni e ci sarà la finalizzazione dell’uscita. Il management farà il suo lavoro e il Governo lo sosterrà ma non posso dire di più».

Crollo record del Pil a -11,2% Gentiloni: subito il Recovery Plan

Il crollo del Prodotto interno lordo italiano è il peggiore d’Europa e va oltre le già pessime stime di maggio. Lo certifica la Commissione europea nelle previsioni economiche d’estate. Nel 2020 il nostro Paese farà segnare un drammatico arretramento del Pil pari all’11,2%, dato che peggiora il -9.5% stimato due mesi fa. Il rimbalzo previsto per il prossimo anno si riduce dal 6,5% al 6,1%. Se l’Italia si conferma il Paese la cui economia è stata maggiormente colpita dal Covid-19, l’impatto del virus è più grave del previsto anche per l’eurozona: secondo Bruxelles farà segnare un -8,7% rispetto al -7,4% stimato in primavera. La ripresa dei diciannove paesi della moneta unica nel 2021 sarà del 5,8% (era al 6,1%).
Dopo l’Italia, i più colpiti sono Spagna e Francia, rispettivamente con un crollo del Pil nel 2020 del 10,9 e del 10,6%. Il Portogallo chiuderà l’anno con un -9,8% e la Grecia farà segnare il -9%. La Germania sarà al -6,3%. «Gli effetti della pandemia sono stati devastanti, ha colpito l’economia più duramente del previsto», ha sottolineato il commissario europeo Paolo Gentiloni, per il quale alla luce dei dati è necessario raggiungere «rapidamente» un accordo sul Recovery Plan, il piano da 750 miliardi al centro del summit del 17 e 18 luglio osteggiato dai “frugali” del Nord. Oltretutto per Gentiloni «la strada della ripresa è ancora lastricata di incertezza, anche se un cauto rimbalzo sta cominciando». Secondo la Commissione, in Italia una timida ripresa si è registrata da maggio, con l’allentamento delle restrizioni. Se non ci sarà una recrudescenza del virus con un altro lockdown, per Bruxelles il Paese inizierà a riprendersi nel terzo trimestre, anche grazie alle misure economiche varate dal governo.
In un quadro così drammatico, per Gentiloni il Patto di stabilità congelato a inizio pandemia potrà tornare in funzione solo quando ci sarà «un ritorno alla situazione precedente », ovvero quando tutti i paesi della zona euro avranno ripreso a crescere. Un alto funzionario europeo ha indicato che non se ne parlerà prima del 2022. E comunque secondo Gentiloni dopo l’estate «dovrà ripartire» la discussione sulla riforma di Maastricht «con regole che aiutino a crescere», fatto «quanto mai importante dopo la pandemia». Domani intanto i ministri delle Finanze si riuniranno per eleggere il nuovo presidente dell’Eurogruppo dopo l’addio del portoghese Mario Centeno: sarà un testa a testa tra la ministra spagnola Nadia Calvino e il collega irlandese Paschal Donohoe, che negli ultimi giorni grazie all’appoggio dei nordici sembra avere recuperato terreno.

Poche gare e commissari Per gli appalti scatta la deregulation

eregulation di un anno, fino al 31 luglio del 2021 per il Codice degli appalti. Il cuore del decreto semplificazioni, costituito dai primi nove articoli, è quello di liberare da “lacci e lacciuoli” le procedure per gli appalti di opere pubbliche. Vediamo punto per punto la riforma.
Senza gara sotto 150 mila euro
Le opere pubbliche che hanno un valore inferiore a 150 mila euro potranno essere assegnate senza un bando di gara aperto a tutti. Si ricorrerà all’affidamento diretto, cioè senza la consultazione di più imprese. Questo sistema fino ad oggi era riservato a opere di valore minore fino a 40 mila euro. Sopra i 150 mila euro si applica la cosiddetta “procedura negoziata”: in questo caso si costituisce una rosa di imprese candidate, con rotazione degli inviti e tenendo conto della dislocazione territoriale, e si sceglie l’offerta migliore che potrà essere limitata alla valutazione del solo prezzo. Le imprese invitate sono cinque tra i 150 mila i 350 mila euro, dieci fino ad un milione e quindici fino a 5 milioni. Tutto deve avvenire al massimo in quattro mesi. Sopra c’è la gara europea, ma l’emergenza Covid può derogare ad ogni paletto.
I commissari straordinari e il modello Genova Sarà possibile nominare una serie di commissari straordinari in presenza, come ha detto Conte, di «casi complessi». La ministra De Micheli (Infrastrutture) ha parlato di sintesi di esperienza precedente. Non si arriverà al modello Genova, ma si faranno passi in avanti rispetto ad oggi: sono nominati dal governo, ratificati dalle Commissioni parlamentari, avranno il potere di agire come stazione appaltante in deroga alla normativa. È possibile che siano oggetto di commissariamento una cinquantina di opere.
Stop alla “paura della firma”
L’espressione è del presidente del Consiglio. Si re-stringe la fattispecie del danno erariale competenza della Corte dei conti: sarà punito solo c’è il dolo, cioè consapevolezza e intenzionalità, e non in presenza di generica colpa grave. Per chi omette di firmare invece per inerzia o paura resta la colpa grave: più rischi dunque per chi tiene fermi i provvedimenti che per quello che li sblocca. Il reato di abuso d’ufficio sarà circoscritto: scatterà a fronte di violazioni di specifiche regole di condotta e non semplici norme o principi generali.
No al blocco dei Tar
Una norma prevede che le opere urgenti non vanno bloccate in caso di ricorsi giudiziari o al Tar (accade spesso nelle “guerre” tra le imprese a colpi di ricorsi). Si formerà una squadra di collegi consultivi tecnico-giuridici per dirimere i contenziosi, ci sarà un fondo per evitare l’esaurimento improvviso delle risorse. Vela per tutti la regola del silenzio-assenso dopo i 60 giorni.
Antimafia e ambiente
Le procedure per la concessione della certificazione antimafia e della valutazione di impatto ambientale saranno rese più veloci.
Nessun bando fino ai 150 mila euro Circoscritto l’abuso d’ufficio Più veloci i certificati antimafia

Grandi opere per 200 miliardi ma il decreto non c’è ancora

Battaglia fino all’alba in Consiglio dei ministri e poi accordo “salvo intese” per il testo che sblocca gli appalti Una lista di 130 progetti prioritari, dal Mose alla Gronda. Conte: “Un trampolino di lancio per un’Italia che corre”
«È stata una gestazione sofferta », ammette in un moto di sincerità il presidente del Consiglio. Ma è l’unica concessione alle traversie che hanno accompagnato l’estenuante trattativa sul decreto Semplificazioni, a lungo complicato da veti incrociati e baruffe interne alla maggioranza. Più volte arrivata, nel corso della maratona notturna in Consiglio dei ministri, al punto di rottura.
Il paradosso di un testo — 48 articoli spalmati su 100 pagine — che si prefigge di sbloccare i cantieri, velocizzare gli appalti, rendere a portata di click tutti i servizi della pubblica amministrazione, e tuttavia rimasto impantanato per settimane nel gorgo giallorosso. Sino all’ultimo. Tant’è che alle cinque del mattino, quando gli ultimi nodi faticavano a giungere a soluzione, Giuseppe Conte è sbottato: «A mezzogiorno devo fare la conferenza stampa e nel pomeriggio partire per Lisbona, noi adesso approviamo e poi se la vedranno i tecnici». La formula “salvo intese” a certificare come l’accordo politico sulla «madre di tutte le riforme » — nonostante la girandola di vertici, incontri, colloqui separati con i leader dei partiti per trasmettergli l’urgenza di un provvedimento che «ci chiede l’Europa» — non sia stato ancora perfezionato.
Un dettaglio, per l’inquilino di Palazzo Chigi. «È una rivoluzione senza precedenti. Aver fatto convergere quattro forze di maggioranza è un risultato clamoroso, tutta l’Italia dovrà vantarsene», esulta il premier. L’affanno della coalizione derubricato a mera questione burocratica. «Siccome durante l’ultima stesura sono state introdotte delle modifiche praticamente in diretta, abbiamo bisogno di qualche giorno per affinarle dal punto di vista tecnico per poi andare in Gazzetta Ufficiale », garantisce. Senza tuttavia fornire una data. Né una scadenza precisa per la conversione in legge.
Un po’ il difetto che soffre il nutrito elenco di infrastrutture strategiche stilato dalla ministra Paola De Micheli — oltre 130, una cinquantina affidate ad altrettanti commissari con poteri speciali sul “modello Genova” — che valgono 200 miliardi e godranno di una corsia preferenziale in deroga al Codice degli appalti per poter essere realizzate in tempi rapidi e certi. Alcune delle quali, fra l’altro, già finanziate e persino esecutive — dalla Gronda di Genova al completamento del Mose, dalla Torino- Lione all’alta velocità Roma-Pescara e Palermo-Catania-Messina — epperò frenato da contenziosi, complessità progettuali, lungaggini amministrative. Proprio ciò che le nuove norme si prefiggono di tagliare. Insieme alle gare. Ma «senza offrire spazio agli appetiti criminali: abbiamo rafforzato i presidi di legalità» assicura Conte. Assai soddisfatto: «Durante gli Stati generali è stato corale l’appello a ridurre la burocrazia e far correre il Paese. Questa riforma è il trampolino di lancio per un’Italia più semplice, che va veloce», dice. E pazienza se per la Cisl «rischia di essere un altro libro dei sogni». Con Salvini ad attaccare le «solite chiacchiere » e Meloni a punzecchiare: «Il testo non c’è, la farsa continua».
Tutt’altra musica rispetto ai leader di maggioranza, che tirano invece «un sospiro di sollievo», Renzi, «anche se non è il piano shock che avremmo voluto»: strascico della guerra sulla lista delle opere commissariate, che in Parlamento Iv chiederà di rimpolpare e Leu di ridurre. Mentre Zingaretti osserva che «il governo è sulla strada giusta » e Di Maio esulta: «Iniziamo a pianificare la ripartenza italiana».
Come se gli scontri fra alleati non ci fossero mai stati. O fossero ormai dimenticati. Tutto falso. Non solo i ministri erano arrivati in Cdm mal disposti poiché l’ultima stesura del decreto gli era stata inviata appena un’ora prima, ma s’erano pure ritrovati un paio di norme mai discusse in maggioranza. Per esempio i maggiori poteri per il Cipe, cui sovrintende un sottosegretario grillino. Contro cui il Pd è insorto. «Se vogliamo semplificare va abolito, non rafforzato », l’accusa di Peppe Provenzano. Poco prima che Dario Franceschini ed Enzo Amendola demolissero l’azzeramento delle gare sopra la soglia comunitaria dei 5 milioni, voluto da Conte, 5S e Iv. «Non si può fare», l’altolà dei due dem, «va in conflitto con le direttive europee».
Una battaglia articolo per articolo. Che ha coinvolto anche il Guardasigilli Alfonso Bonafede, deciso a difendere l’abuso d’ufficio, mentre la renizana Bellanova ne chiedeva lo stralcio. «D’ora in avanti rischierà di più il funzionario pubblico che tiene ferme le opere, non chi le sblocca », spiegherà poi il premier. E pure Gualtieri ha incrociato le lame, stavolta con la titolare dell’Innovazione Paola Pisano. Contrario, il responsabile del Tesoro, a far confluire tutte le banche dati della P.A. e delle partecipate in un’unica piattaforma presso la presidenza del Consiglio: «Questa è la nostra linea rossa», l’ha stoppata. Ultimo flash di una notte da lunghi coltelli, in attesa delle “intese” che chissà quando verranno.

Coima sgr lancia fondo immobiliare

Coima Sgr, società specializzata nella gestione di fondi di investimento immobiliare per conto di investitori istituzionali, avvia l’operatività di Coima Esg City Impact Fund, il primo fondo italiano di investimento chiuso con obiettivi misurabili di impatto Esg (Environmental, Social & Governance) che investirà in rigenerazione sostenibile del territorio a livello nazionale. Il collocamento ufficiale del fondo segue una prima fase di raccolta già completata per circa 400 milioni euro con Cassa forense, Cassa nazionale dottori commercialisti e Inarcassa in qualità di investitori cornerstone che hanno identificato l’iniziativa come strategica per veicolare investimenti nell’economia reale del Paese. La potenzialità di investimento del fondo è già superiore a 1,5 miliardi, con una pipeline già identificata di oltre 1 miliardo. Attraverso una raccolta progressiva e successivi aumenti di capitale durante il periodo di vita del fondo (20 anni), Coima Esg City Impact Fund si pone l’obiettivo di raggiungere una raccolta di oltre 1 miliardo con la capacità di sviluppare oltre 4 miliardi di investimenti con impatto Esg sul territorio e sull’economia reale. Da un punto di vista finanziario il fondo ha come obiettivo un tasso di rendimento (Irr) superiore al 10% nella fase di sviluppo e un dividendo stabilizzato oltre il 5% nella fase a reddito. Tra gli esempi di sviluppo di architettura aperta la cordata composta tra il fondo Coima Esg City Impact Fund, Covivio e Prada per la partecipazione alla procedura di vendita dello Scalo di Porta Romana a Milano.

Gli investimenti del fondo saranno focalizzati in interventi di rigenerazione urbana e di riuso edilizio. I settori prioritariamente identificati sono quelli della residenza e del turismo,

In riferimento alla governance, a livello di società di gestione il comitato di investimento sarà integrato con le competenze del sustainable innovation committee di Coima; a livello di fondo oltre al comitato consultivo dei quotisti è previsto un comitato di indirizzo presieduto da Nunzio Luciano presidente di Cassa forense, e ha tra i propri membri Walter Anedda, presidente Cassa nazionale dottori commercialisti, oltre ai rappresentanti di futuri primari quotisti e a Giovanna Melandri, presidente Human Foundation, Ersilia Vaudo Scarpetta, chief diversity officer Agenzia spaziale europea e Luca Valerio Camerano, docente università Luiss, come membri indipendenti. Il comitato di indirizzo ha il compito di rivedere periodicamente le priorità Esg nell’agenda del fondo e i progetti di investimento. Avrà il supporto di Coima City Lab, gruppo di lavoro costituito per tracciare le linee guida per la creazione degli spazi urbani del futuro, composto dai progettisti Stefano Boeri, Elizabeth Diller, Gregg Jones (Pelli Clarke Pelli Architects), Lee Polisano, Carlo Ratti, Cino Zucchi e Christopher Choa. Secondo Manfredi Catella, fondatore e ceo di Coima, «l’avvio del fondo Coima Esg City Impact rappresenta un contributo per sviluppare progetti di economia reale in partnership con le migliori istituzioni, università e centri di ricerca, imprenditori e aziende sia nel settore privato sia nel settore pubblico, e significativi ritorni in termini di sostenibilità». «In un momento grave, di decrescita del nostro pil» ha sottolineato Nunzio Luciano, presidente di Cassa forense, «il fondo Coima Esg City Impact, con i suoi investitori, propone un progetto innovativo di grande impatto sociale per una nuova visione di sviluppo economico e territoriale per aiutare il Paese a invertire la rotta nel segno della crescita». Walter Anedda, presidente Cassa dottori commercialisti, ha sottolineato che «abbiamo da subito creduto in questo progetto che, alla luce di quanto sta accadendo, diventa ancora più strategico per il rilancio dell’economia nazionale. Uno strumento utile soprattutto nel caso di investitori istituzionali che, oltre a diversificare ulteriormente il proprio patrimonio, hanno la possibilità di investire in asset strategici per il Paese contribuendo alla riqualificazione del territorio e alla ripresa economica complessiva». «I fondi immobiliari», ha concluso Giuseppe Santoro, presidente Inarcassa, «in particolare quelli a sviluppo e infrastrutturali, dovrebbero connotarsi per caratteristiche di sostenibilità ambientale e sempre maggiore efficienza energetica. Per tali motivi Inarcassa stimola continuamente i principali gestori dei patrimoni immobiliari a introdurre e rispettare specifiche best practice nell’ambito dei processi decisionali. Senza alcun dubbio la vera differenza sulle città del futuro la faranno le idee-azioni sostenibili».

Mps, 20 milioni a Gnutti C. spa

Banca Monte dei Paschi di Siena ha sottoscritto un finanziamento da 20 milioni di euro al gruppo Gnutti Carlo spa, attivo a livello globale nella produzione di componentistica ad alta precisione, con la garanzia di Sace nell’ambito del programma Garanzia Italia. L’operazione strutturata, con una durata di 6 anni, consentirà alla società di fronteggiare l’incremento della necessità di circolante dovuta all’improvvisa interruzione dell’attività a causa dell’emergenza Covid-19. «Quest’operazione si inquadra nell’ambito delle azioni di sostegno concreto al territorio, messe in campo da B. Mps in questa fase di emergenza del nostro Paese», ha affermato Giampiero Bergami, chief commercial officer e vice direttore generale di Banca Mps. «Il finanziamento supporta la ripartenza di una realtà imprenditoriale che ha saputo distinguersi e primeggiare anche sui mercati esteri insieme alla filiera produttiva collegata, per contribuire alla ripresa e allo sviluppo del tessuto economico nazionale». Gnutti Carlo ha iniziato la sua attività nel 1922 come piccola impresa produttrice di componenti per macchine agricole. Oggi è leader mondiale nello sviluppo e nella produzione di componenti e sistemi anche per l’automotive e le tlc. «Siamo di fronte a sfide di straordinaria complessità che intendiamo affrontare con decisione», ha spiegato Mario Gnutti, vice presidente del gruppo Gnutti Carlo, «dotandoci di un adeguato supporto finanziario per il superamento della crisi economica causata dalla pandemia, la crescita del gruppo e la creazione di valore». Per Sace è la prima operazione con B. Mps, ha dichiarato Mario Bruni, responsabile Mid Market di Sace, «diamo il nostro contributo per rendere il made in Italy più competitivo e dare supporto alle tante eccellenze italiane che contribuiscono ogni giorno alla crescita del nostro Paese».

Mediolanum, raccolta netta a 423 mln

La raccolta netta totale del Gruppo Mediolanum a giugno è risultata positiva per 423 milioni di euro, mentre la raccolta netta in risparmio gestito si è attestata a 540 mln. Il risultato della raccolta netta totale di questo primo semestre è straordinario», ha detto l’a.d. Massimo Doris: «con 423 milioni a giugno sono stati superati i 5 miliardi, il 146% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno». «Il dato relativo al risparmio gestito», ha aggiunto, «con 540 milioni nel mese, oltre 2 miliardi da inizio anno, in crescita del 46%, anche a giugno ha visto la quasi totalità della raccolta in fondi destinata ai comparti azionari». A ritmo sostenuto anche le altre attività commerciali, con oltre 1,3 miliardi di erogazioni alla clientela da inizio anno (+8%) e la raccolta di premi legati alle polizze protezione, con 59,6 milioni (+31% anno su anno)». Intanto, la piattaforma europea di asset management del gruppo Bancario Mediolanum, Mediolanum International Funds (Mifl), ha lanciato il nuovo fondo, Mediolanum global demographic opportunities, che si aggiunge alla gamma dei fondi multi-manager Best Brands.

Ubi continua a resistere a Intesa

Filiali, dividendi, premi. Ubi ribatte punto per punto a Intesa San Paolo nel secondo giorno, ieri, dell’ops lanciata dalla banca guidata da Carlo Messina sul 100% dell’istituto amministrato da Victor Massiah. Si aspetta il parere dell’Antitrust. Intanto, ieri, nella seconda giornata di offerta pubblica di scambio volontaria lanciata da Intesa Sanpaolo su Ubi Banca sono state apportate 1.713.111 azioni, secondo le comunicazioni giornaliere di Borsa Italiana. Complessivamente, nei due giorni, sono state apportate all’offerta 3.674.926 azioni, pari allo 0,321% del capitale. Palazzo Mezzanotte ricorda che le azioni ordinarie Ubi acquistate sul mercato nei giorni 27 e 28 luglio non potranno essere apportate in adesione all’offerta. L’operazione proseguirà fino al 28 luglio salvo proroghe e interessa il 100% delle azioni della banca lombarda.

In una nota, Ubi banca ribatte punto su punto circa la ripartizione del valore e delle sinergie, la distribuzione cumulata di dividendi nel triennio 2020-2022, l’assenza di un premio nelle valutazioni relative al concambio dell’eventuale fusione, le considerazioni sulla fusione e le considerazioni riguardanti le valutazioni del cda relative alla non congruità del corrispettivo, approfondisce anche gli scenari nel caso di mancata fusione e lascia intendere di non aver intenzione di cedere il ramo bancario a Bper e quello assicurativo a Unipol nel caso in cui non avvenisse la fusione e dunque Intesa rimanesse senza «armi» di legge per far diventare efficace questa cessione. Il cda di Ubi Banca ha evidenziato come, Intesa, in assenza di fusione, non potrebbe legittimamente imporre a Ubi Banca operazioni che violino i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della medesima e che contrastino con il suo interesse sociale. «Nel caso in cui non venisse realizzata la fusione, Intesa non potrebbe legittimamente imporre a Ubi di dare corso alla cessione del ramo bancario a Bper e, conseguentemente, alla cessione dei rami assicurativi a UnipolSai».

Una stilettata giunge anche sul tema dividendi. «Il flusso di dividendi di Intesa Sanpaolo è stato negli ultimi anni alimentato anche da plurime e rilevanti operazioni straordinarie», ha spiegato Ubi. «Per quanto riguarda la distribuzione cumulata di dividendi nel triennio 2020-2022 pari a 840 milioni di euro, si evidenzia che il contributo delle operazioni o iniziative di carattere strategico riguardanti partecipazioni/attività pari a 350 milioni è da considerarsi all’interno del più ampio insieme di azioni previste nel piano industriale aggiornato. Per informazioni in merito alle valutazioni del Cda di Ubi Banca sulla data di riferimento ai fini del calcolo del premio sui prezzi di borsa e, più in generale, sulla valenza informativa del premio dichiarato da Intesa». Una precisazione arriva sul capitolo delle sinergie. Nella «ripartizione del valore e delle sinergie derivanti» dall’Ops «a favore degli attuali azionisti di Ubi Banca, si sottolinea che la valorizzazione di Ubi Banca e Intesa Sanpaolo a cui fa riferimento» la banca guidata dal ceo, Carlo Messina, «nella quantificazione del premio offerto agli azionisti di Ubi è calcolata sui prezzi di mercato dei titoli al 14 febbraio 2020 (giorno di borsa aperta precedente l’annuncio dell’Ops e la presentazione, da parte di Ubi, del piano industriale) e non sulla valutazione fondamentale delle due banche», scrive Ubi. «Inoltre, la valutazione fondamentale delle due banche è stata considerata in ottica stand alone, senza includere il valore delle sinergie prospettate da Intesa. Il corrispettivo è stato ritenuto dal cda di Ubi non congruo da un punto di vista finanziario. Intesa Sanpaolo ha incontrato ieri le associazioni dei consumatori aderenti al Consiglio nazionale consumatori utenti per spiegare l’Ops su Ubi.

Dl Sblocca-opere ok, ma è crisi nera

Appalti senza gara sotto i 150 mila euro, abuso d’ufficio circoscritto, proseguimento dei lavori anche in caso di contenzioso. Il decreto Semplificazioni per sbloccare le opere in Italia è stato approvato dal Consiglio dei ministri nella formula «salvo intese». «Iter sofferto, abbiamo bisogno di qualche giorno per la versione finale», ha spiegato il presidente del consiglio Giuseppe Conte. «Abbiamo approvato l’elenco di 130 opere strategiche individuate dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti» alle quali «aggiungiamo quelle per Cortina e quelle di competenza di altri ministeri, sanità, carceri, polizia», ha poi sottolineato il premier. Tra le opere ci sono la Salerno-Reggio Calabria, la Palermo-Catania-Messina, la Pescara-Roma, la Pescara-Bari, la Venezia-Trieste, la Gronda, la Ionica, l’ampliamento della Salaria, la Pontina. Rispondendo alle domande dei giornalisti, Conte ha poi ricordato quali sono i dossier che l’esecutivo è riuscito a chiudere e quelli rimasti ancora in sospeso. «Alitalia è stata sbloccata e troverete una norma nel dl Semplificazioni per l’aspetto finanziario». Sull’ex Ilva «c’è un accordo siglato a marzo e nel frattempo abbiamo individuato il partner pubblico, ovvero Invitalia». Il dossier che riguarda Autostrade per l’Italia, invece, «è un dossier che non siamo ancora riusciti a sbloccare», ha detto Conte. «Il governo ha definito la sua posizione. Adesso Aspi ci deve far sapere se accetta o no le condizioni. Altrimenti siamo in procedura di revoca», ha avvertito. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, ha evidenziato che il piano vale «200 miliardi».

La Commissione europea ha ulteriormente rivisto al ribasso le previsioni di crescita economica a seguito della pandemia di Covid e l’Italia risulta il paese che nel 2020 subirà la recessione più acuta, con un meno 11,2% del Pil (rispetto a un meno 8,7% dell’Eurozona) a fronte del meno 9,5% indicato due mesi fa. È crisi nera, dunque. E anche la crescita nel 2021 potrà essere meno robusta di quanto era stato previsto dalla Commissione in primavera. Nel 2021, infatti, la crescita sarebbe del 6,2%. «La ragione fondamentale per spiegare la flessione del Pil italiano prevista dalla Commissione europea per il 2020 rispetto alle stime relative agli altri paesi è che l’Italia è stata il paese europeo con il periodo di chiusura più prolungato: ha introdotto per primo le misure di lockdown e poi le ha rilasciate più o meno in contemporanea con gli altri», ha ammesso il commissario Ue, Paolo Gentiloni.

L’Ocse ha avvertito che quest’anno potrebbero sparire 1,5 milioni di posti di lavoro. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nel suo documento sulle Prospettive sull’occupazione 2020 presentato ieri a Parigi, afferma che in Italia la disoccupazione raggiungerà il 12,4 per cento a fine 2020. Un dato che non rientrerà tanto presto se la pandemia non sarà tenuta sotto controllo. In caso contrario, dovrebbe scendere gradualmente all’11 per cento entro la fine del 2021 «comunque ben al di sopra del livello pre-crisi». Per questo sarebbe necessario che «l’accesso e il livello delle prestazioni di sostegno al reddito», come il reddito di cittadinanza e il reddito d’emergenza, siano «rivisti con l’evolvere della crisi». In particolare, l’organismo parigino suggerisce di riformare la Cig e prevedere maggiori incentivi per la ricerca di un nuovo lavoro.

Un’azienda su tre adesso rischia di chiudere. «L’impatto della crisi sulle imprese è stato di intensità e rapidità straordinarie, determinando seri rischi per la sopravvivenza: il 38,8% delle imprese italiane (pari al 28,8% dell’occupazione, circa 3,6 milioni di addetti) ha denunciato l’esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza nel corso dell’anno». L’ha rilevato l’Istat in un’indagine sulle imprese sopra i 3 addetti. Il pericolo di chiudere è maggiore tra le micro imprese (40,6%) e la piccole (33,5%) ma è «significativo» anche tra le medie (22,4%) e le grandi (18,8%). In particolare, oltre sei alberghi e ristoranti su dieci rischiano la chiusura entro un anno mettendo a rischio oltre 800 mila posti di lavoro. A questi si aggiungano le aziende dello sport, cultura e intrattenimento con circa 700 mila addetti.

Riparte lo shopping on line. A maggio sono state registrate vendite al dettaglio in crescita del 24%, ma mentre l’e-commerce ha segnato un +41,7%, i negozi calano del 19%.

«Oltre la metà della popolazione dichiara di aver subito una contrazione nel reddito familiare in seguito alle misure adottate per il contenimento dell’epidemia. L’impatto è stato particolarmente severo per i lavoratori indipendenti». È quanto emerge dall’indagine straordinaria sulle famiglie italiane (Isf) condotta fra aprile e maggio dalla Banca d’Italia per raccogliere informazioni sulla situazione economica e sulle aspettative delle famiglie durante la pandemia.

«Servono decine di migliaia di locali in tutta Italia e calcolando che, secondo quanto riferito dal ministro, gli studenti che faranno lezione fuori dalle aule sono il 15%, circa 1 milione e 200mila, resteranno fuori 40mila classi. L’idea di collocare i ragazzi anche in locali nell’ambito dei beni confiscati alla mafia è bella, ma qui servono davvero tante strutture». La denuncia è del presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli.

L’Autorità garante per le comunicazioni (Agcom) ha rilevato che nel periodo delle restrizioni per il coronavirus «il 12,7% degli studenti non ha usufruito della didattica a distanza». «Dati inaccettabili per una democrazia evoluta», è la conclusione. Uno studente su 10 non ha a disposizione un terminale adatto per seguire le lezioni.

Commissario straordinario non soltanto per l’emergenza Covid19, ma anche per la riapertura delle scuole in sicurezza a partire dal prossimo 7 settembre. Domenico Arcuri si occuperà della fornitura di gel, mascherine e «ogni necessario bene strumentale, compresi gli arredi scolastici, utile a garantire l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2020-2021, nonché a contenere e contrastare l’eventuale emergenza nelle istituzioni scolastiche statali». Lo prevede una norma contenuta nel decreto Semplificazioni. Il commissario può procedere subito all’affidamento di contratti. «Piena soddisfazione». L’ha manifestata il ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, spiegando che si tratta di «una norma scritta e fortemente voluta dal mio ministero». «Permetterà, ad esempio, di velocizzare l`iter per l’acquisto e la distribuzione degli arredi scolastici, come i banchi singoli di nuova generazione», ha concluso.

Incontro a palazzo Chigi tra il presidente del consiglio Giuseppe Conte e il titolare della piattaforma Rousseau Davide Casaleggio sui temi delle alleanze alle regionali e della leadership interna a M5s.

I nuovi contagi sono 138, i morti 30, i guariti 574. Sono alcuni dati dell’ultimo aggiornamento della Protezione civile sull’epidemia Covid19. Dopo aver riscontrato alcune decine di positivi in arrivo dal Bangladesh, l’Italia ha bloccato i voli da Dacca. «Non possiamo permetterci di importare contagi», ha dichiarato il ministro della Salute, Roberto Speranza. dopo aver riscontrato un alto numero di contagiati, oltre 21, sull’ultimo aereo arrivato a Roma da Dacca. Lo stop durerà una settimana durante la quale si lavorerà a nuove misure anti-Covid per gli arrivi extra Schengen ed extra Ue.

Separate con successo all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma due gemelline siamesi centrafricane unite dalla nuca, con cranio e gran parte del sistema venoso in comune. È il primo caso in Italia e probabilmente l’unico al mondo, di un intervento riuscito. Dopo oltre un anno di preparazione, sono state sottoposte a tre interventi delicatissimi e separate il 5 giugno, con un’operazione durata18 ore. Ad un mese di distanza le bambine stanno bene.

Operazione anti-camorra contro il clan Senese a Roma e al Nord: 28 le misure cautelari con le accuse di estorsione, usura e riciclaggio. In carcere anche il fratello della deputata del Pd, Monica Cirinnà.

The Good Lobby ha presentato un reclamo al Mediatore europeo nei confronti della presidente Ue, Ursula Von der Leyen, per aver interferito nelle elezioni in Croazia violando il codice di condotta dei commissari Ue. Von der Leyen compariva in uno spot dell’Unione democratica croata, in vista delle elezioni del 5 luglio.

Aumenti di capitale, quorum ridotto fino a fine anno

n pacchetto di consistenti misure per favorire la capitalizzazione delle società per azioni, quotate (o le cui azioni siano negoziate in un sistema multilaterale) e non quotate: è quanto risulta dall’articolo 36 del Dl Semplificazioni, che contiene, con riguardo alla materia dell’aumento del capitale sociale, la modifica di alcune norme del Codice civile,di cui una parte “a regime” e un’altra parte transitorie (valevoli cioè fino al 31 dicembre 2020).

Quanto a queste ultime, viene disposto che, sino alla data del 31 dicembre 2020 (il riferimento è da intendere alla data di svolgimento dell’assemblea), si possono assumere con il voto favorevole della maggioranza del capitale rappresentato in assemblea (a condizione però che in assemblea sia presente almeno la metà del capitale sociale):

gli aumenti del capitale sociale con conferimenti in natura o di crediti (di cui agli articoli 2440 e 2441 del Codice civile);

l’introduzione nello statuto sociale delle società con azioni quotate (o negoziate in un sistema multilaterale) della clausola che consente di escludere il diritto di opzione nei limiti del 10% del capitale sociale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione da un revisore legale o da una società di revisione legale (articolo 2441, comma 4, del Codice civile);

l’attribuzione agli amministratori della facoltà di aumentare il capitale sociale (di cui all’articolo 2443 del Codice civile).

In sostanza, nei predetti casi si va in deroga ad ogni diversa disposizione statutaria in materia di quorum e, pure, in deroga al quorum deliberativo dei due terzi disposto dall’articolo 2368, comma 2, e dall’articolo 2369, commi 3 e 7, del Codice civile.

Sempre sino alla data del 31 dicembre 2020, le società con azioni quotate in mercati regolamentati (o negoziate in un sistema multilaterale) possono deliberare aumenti del capitale sociale con nuovi conferimenti, anche se non autorizzati da un’espressa previsione statutaria, nei limiti del 20% del capitale sociale preesistente (a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione da un revisore legale o da una società di revisione legale). Per la convocazione di un’assemblea finalizzata ad assumere una tale deliberazione, i termini di convocazione sono ridotti della metà.

Quanto alle modifiche a regime del Codice civile, per effetto del Dl Semplificazioni:

il nuovo comma 2 dell’articolo 2441 sancisce che per l’esercizio del diritto di opzione in relazione a un aumento di capitale sociale deve essere concesso un termine non inferiore a quattordici giorni dalla pubblicazione dell’offerta sul sito internet della società (con modalità atte a garantire la sicurezza del sito medesimo, l’autenticità dei documenti e la certezza della data di pubblicazione) o, in mancanza, dall’iscrizione nel Registro delle imprese;

il nuovo comma 3 dell’articolo 2441 sancisce che se le azioni sono quotate in mercati regolamentati o negoziate in sistemi multilaterali, la società può prevedere che il diritto di prelazione sulle azioni non optate debba essere esercitato contestualmente all’esercizio del diritto di opzione, indicando il numero massimo di azioni sottoscritte;

il nuovo comma 4 dell’articolo 2441 sancisce che, in caso di aumento di capitale deliberato nei limiti del 10% del capitale preesistente, con esclusione o limitazione del diritto di opzione, le ragioni dell’esclusione o della limitazione devono risultare da apposita relazione degli amministratori, depositata presso la sede sociale e pubblicata sul sito internet della società entro il termine della convocazione dell’assemblea.

Fca-Psa, l’Antitrust europeo prende tempo sul dossier

L’Antitrust Ue prende tempo sull’istruttoria Fca-Psa complicando una tabella di marcia che inizialmente puntava a chiudere, con le assemblee, già a settembre le fasi più delicate del percorso di fusione.

Nelle scorse settimane, la Commissione Ue ha aperto un’istruttoria approfondita sulla fusione tra Fiat Chrysler e Psa in quanto preoccupata che la transazione possa ridurre la concorrenza nel settore dei veicoli commerciali leggeri (van) sotto le 3,5 tonnellate nello spazio economico europeo. E proprio nelle scorse ore Bruxelles ha annunciato la proroga fino al 13 novembre dell’indagine in corso. La decisione sarebbe stata presa di comune accordo con le parti. Questo almeno secondo le dichiarazioni di un portavoce del commissario per la concorrenza. L’inchiesta aperta a metà giugno doveva inizialmente durare fino al 22 ottobre. È evidente dunque che l’esame dei commissari su Sevel potrebbe andare ad allungare i tempi della fusione rispetto a quanto inizialmente immaginato dai due gruppi automobilistici coinvolti.

Sulla carta le assemblee di Fca e Psa non sono state ancora convocate ufficialmente. Ma secondo quanto raccolto da Il Sole24 Ore nelle scorse settimane intorno ai tanti tavoli al lavoro sulla fusione girava un documento interno con una timetable dell’operazione che fissava tra due mesi l’assise dei soci, passaggio chiave ai fini del perfezionamento dell’aggregazione. Non risulta che al momento siano state prese decisioni, ma è evidente che si tratta – a maggior ragione dopo la comunicazione di ieri dell’Antitrust – di una scadenza fuori portata. Secondo alcune fonti vicine alla trattativa, ad ogni modo, l’obiettivo dei due gruppi sarebbe quello di riuscire a tenere le rispettive assemblee degli azionisti entro la fine del 2020, dunque probabilmente nel mese di dicembre considerando l’allungamento dei tempi dei funzionari Ue. Si vedrà. Certo è che restano ad ogni modo ferme, e non prorogabili, alcune scadenze che il patto sottoscritto da Fca e Psa segna nel contratto. Nel Combination Agreement visionato da Il Sole 24 Ore, il documento, 135 pagine correlate da allegati e impegni scritti dei futuri azionisti di Fca-Psa, individua due date chiave del percorso in atto: il 31 marzo del 2021, termine entro il quale ottenere il via libera dell’assemblea, e il 30 giugno del 2021, data entro cui perfezionare il closing. La riunione dei soci dovrà essere così programmata in questo arco di tempo. Secondo alcune fonti, l’obiettivo dei due gruppi sarebbe quello di realizzare tale formalità entro la fine dell’anno in corso. Magari non a settembre, come inizialmente previsto dal programma interno, ma almeno entro la chiusura dell’esercizio.

Resta da capire, ad ogni modo, in che condizioni di salute arriveranno Fca e Psa alla fine del 2020. Tanto più che nel 2021 si porrà il tema della cedola straordinaria da 5,5 miliardi che Fca deve, in base agli accordi, distribuire ai suoi azionisti. Un passaggio su cui, come riportato da Il Sole24 Ore nei giorni scorsi, si registrano pressioni dal fronte francese di Psa per trovare soluzioni in grado di ridimensionare l’ammontare della cassa da distribuire in una fase delicata come quella attuale pur mantenendo inalterati i pesi e le valutazioni decise a dicembre scorso. In proposito da Fca hanno fatto sapere nei giorni scorsi che «la struttura e i termini della fusione sono stati concordati e rimangono invariati».

«Dea Capital Sgr ora punta su healthcare, hotel e case»

L’acceleratore sul settore healthcare e senior housing e nuovi focus su hotel e residenze. Sono le linee guida della strategia di investimento nel real estate di Dea capital Sgr, prima Sgr italiana di fondi immobiliari guidata da Emanuele Caniggia con asset under management di 9,9 miliardi di euro (dai 9,5 miliardi di fine 2018) per un totale di 750 immobili. Azionista è al 100% il Gruppo De Agostini.

Il real estate uscirà indebolito o rafforzato dalla crisi innescata dalla pandemia da Covid-19?

Il nostro settore si trova a fronteggiare una crisi che non è strutturale, ma un evento esogeno che ha fermato all’improvviso un treno in corsa. Una situazione ben diversa da crisi passate, quando il real estate aveva subìto le conseguenze di un sistema finanziario sotto scacco. Per fare ripartire il treno va eliminato l’agente esterno. E ci saranno comunque conseguenze sulla economia mondiale. Il problema economico si rifletterà in disoccupazione e disagio sociale. Tanto più che il nostro governo ha pensato a tamponare la mancanza di occupazione senza mettere le basi per crearne di nuova.

State rivedendo le vostre strategie di investimento alla luce di quanto accaduto negli ultimi mesi?

È ancora presto. Ci sono settori che daranno grosse opportunità come turistico e alberghiero, occasioni che derivano dal fatto che in Italia il segmento dell’ospitalità è ancora molto frazionato e la proprietà delle strutture è in mano per il 90% circa a singole famiglie. Questa potrebbe essere una buona occasione per riorganizzare il settore che contribuisce per una fetta importante al Pil. Potrebbe essere il momento buono per costituire portafogli di hotel.

State valutando di creare un fondo dedicato agli hotel?

Sì, stiamo valutando il progetto.

Quali sono altre asset class interessanti sulle quali puntare?

La logistica, già appetibile prima del lockdown, e gli uffici.

Avete investito di recente anche nel segmento healthcare.

Abbiamo acquisito per 15 milioni di euro una struttura ospedaliera di Eurosanità, situata nel quartiere Casilino di Roma. L’operazione è stata definita attraverso Tessalo, fondo di investimento alternativo immobiliare, riservato a investitori professionali, interamente dedicato al settore della sanità. Del fondo fanno parte cliniche, ospedali privati o convenzionati con enti pubblici e privati, Rsa, centri di ricerca, laboratori di analisi, centri di radiologia e fisioterapia, per complessivi 600 posti letto. Del patrimonio del fondo – che vale oltre 220 milioni di euro – fanno parte, sempre nel quartiere Casilino di R oma, due strutture sanitarie di grandi dimensioni come il Policlinico Casilino e il Centro di Procreazione Assistita. Altri immobili sono la clinica Quisisana, la casa di cura Villa Stuart, le Rsa di Santa Elisabetta I e Santa Elisabetta II. Il nostro obiettivo è liberare risorse per il gestore e non sostituirci a chi sa fare questo mestiere.

Nel senior housing state realizzando strutture che possano unire giovani e anziani, in che modo?

Il Fondo Civitas Vitae nelle Marche prevede diversi progetti, di sviluppo immobiliare e riqualificazione per andare incontro alle esigenze di fasce deboli. Per esempio Villa Ceccolini a Pesaro prevede la realizzazione di circa 150 unità abitative in regime di social housing e funzioni commerciali; San Terenzio a Vallefoglia (PU) prevede la realizzazione di una cittadella integrata composta da una struttura sociosanitaria, con 240 posti letto, un talent lab, un palazzetto dello sport e un edificio di residenza protetta avente 23 unità abitative. Anziani e giovani potranno vivere in spazi vicini.

C’è ancora interesse per il mercato italiano da parte degli investitori internazionali?

Durante il periodo del lockdown abbiamo creato tre fondi nuovi e messole basi per lanciare una Sicaf con investitori esteri. La strategia sul mercato non cambia, l’interesse rimane. La novità è che tornano ad affacciarsi al nostro Paese investitori opportunistici più aggressivi. Si stanno muovendo alla ricerca di opportunità di acquisto anche gli investitori italiani, che erano sempre meno numerosi nell’ultimo periodo pre-Covid.

Ci sono settori nuovi (per voi) che state valutando?

Il residenziale è sempre stato residuale, anche se stiamo realizzando qualche importante operazione a Roma, come quella di Porta dei Leoni (una riconversione di uffici in residenze in zona Porta Portese), e a Milano. Ma anche il segmento delle infrastrutture e dei parcheggi, nel quale stiamo definendo un nuovo fondo.

Secondo articolo di una serie

Con questa intervista Il Sole 24 Ore prosegue in un ciclo di colloqui con i protagonisti del mercato italiano del real estate. Il primo con Mario Abbadessa (Hines) è stato pubblicato

il 30 giugno

«Stop debiti, le imprese aprano al mercato dei capitali»

«L e aziende europee devono pensare per tempo a riequilibrare lo stato patrimoniale dei loro bilanci. I debiti contratti per tamponare la fase d’emergenza della crisi non sono la soluzione per il medio termine. In molti casi è necessario rafforzarsi finaziariamente e questa è l’occasione per aprirsi al mercato dei capitali e fare ricorso a private equity, a fondi cosiddetti di permanent capital e a fondi di credito. Prendendo a esempio il meglio dell’esperienza degli Usa, ma evitandone gli eccessi e le distorsioni». Igino Beverini, deputy head di Lazard in Italia, è convinto che per molte imprese europee e italiane sia arrivato il momento di una svolta sul versante finanziario. È possibile andare oltre al tradizionale debito bancario e alle ipotizzate ricapitalizzazioni di Stato. «Molti imprenditori, anche in Italia, stanno pianificando di ricapitalizzare perché credono nella loro azienda, però non sempre le risorse sono sufficienti – spiega Beverini – ma sul mercato internazionale esiste una pluralità di operatori con una variegata tipologia di strumenti finanziari che sono disponibili a investire nelle aziende italiane».

Il rischio, secondo il banchiere di Lazard, è che le imprese europee escano in ritardo dalla crisi mentre negli Usa le ristrutturazioni sono già in corso grazie alla maggiore reattività del sistema economico e finanziario, all’efficacia di strumenti come il Chapter 11, alla rapidità nell’individuare nuovi modelli di business. «In Europa, lo tsunami del Covid è stato affrontato in modo analogo dai vari Paesi: all’emergenza liquidità si è giustamente risposto con il supporto dei Governi. Interventi necessari per stabilizzare la situazione. Ma ora le imprese, che hanno aumentato il debito, devono da subito iniziare a programmare il futuro».

Non siamo ancora in una fase di incertezza, tra rischi di seconda ondata e settori che hanno riaperto solo in parte? «Non c’è tempo da perdere, già da ora le aziende devono definire il nuovo punto di equilibrio dei propri bilanci agendo sui costi e tenendo conto del fatturato perso – è l’opinione di Beverini – ma soprattutto devono definire il nuovo business plan pluriennale e, sulla base degli obiettivi, riequilibrare la situazione patrimoniale e finanziaria. Sarebbe un grave errore ridurre gli investimenti per via di una squilibrata leva finanziaria».

E per ridurre la leva finanziaria, meglio non contare troppo sulla disponibilità delle banche a convertire i crediti in capitale perché a differenza delle crisi precedenti, le garanzie statali sui prestiti potrebbero indurre le banche europee a comportamenti diversi dal passato. E un elevato numero di aziende, soprattutto nei settori più in crisi, rischia il default. Per tutta questa serie di motivi, a giudizio di Lazard è tempo che le imprese aprano il capitale.

Ma non esiste un rischio Italia che frena l’arrivo di capitali esteri? «Per quello che vediamo noi, il combinato tra la ricerca di rendimenti da parte dei fondi e l’attrattività di molte imprese italiane che esportano in tutto il mondo non frena affatto l’interesse dei fondi esteri». Se finora molte aziende in Europa e in Italia non si sono aperte al mercato dei capitali, è anche per il timore di una certa finanza spericolata? «Vero. E i timori possono essere molti, ma la crisi obbliga a fare i conti con la realtà. Le aziende hanno bisogno di capitali. E oggi stiamo discutendo di rafforzamenti patrimoniali e riduzione della leva finanziaria. Esiste una vasta tipologia di strumenti che permettono di rafforzare la dotazione patrimoniale delle aziende, con investitori di minoranza o prestiti ibridi o di tipo mezzanino, lasciando la maggioranza all’imprenditore, o comunque consentendo una governance in continuità manageriale. per dare un’idea, esitono in Europa oltre 250 miliardi di euro in dotazione a fondi di private equity, permanent capital ed altri investitori finanziari istituzionali, inclusi quelli di matrice italiana. Se parliamo invece di fondi di credito, sempre a livello europeo si parla di oltre 90 miliardi di euro da investire in questo ciclo. vi sono quindi tutti i presupposti per finanziare in maniera adeguata il sistema industriale europeo post Covid».

La quotazione in Borsa può essere una soluzione altrettanto efficace? «Lo è e molte aziende ci stanno pensando. Ma si tratta di un processo che richiede tempo. L’intervento dei fondi, in molti casi, può essere proprio come un ponte verso la quotazione. L’essenziale è non perdere tempo perché da inizio 2021 possono scattare tanti default aziendali per cause finanziarie. E molti possono essere evitati, se e quando vi siano un modello industriale e un business plan adeguati».

Saipem colloca titoli per 500 milioni

Saipem torna a bussare al mercato dei capitali. Ieri la società guidata da Stefano Cao ha collocato, per il tramite di Saipem Finance International Bv, un’emissione obbligazionaria a tasso fisso da 500 milioni con scadenza 15 luglio 2026. Le obbligazioni pagano una cedola annua del 3,375% e hanno un prezzo di re-offer del 100 per cento. I bond saranno quotati sul segmento Euro Mtf della Borsa del Lussemburgo e sono stati acquistati da investitori istituzionali provenienti principalmente da Italia, Francia, Germania e Regno Unito.

Le risorse assicurate dal collocamento saranno utilizzate per esigenze finanziarie generali e l’operazione rientra nell’ambito del programma Euro Medium Term Note (Emtn). Come si ricorderà, a fine aprile, in occasione dell’approvazione dei risultati del primo trimestre, il cda aveva deliberato il rinnovo per un anno del programma istituito nell’aprile 2016 per un importo massimo di 2 miliardi, poi incrementato fino a 3 miliardi. Alla base del rinnovo, la decisione di continuare a beneficiare della flessibilità tipica di tale strumento e di sfruttare tempestivamente eventuali finestre di mercato favorevoli per l’emissione di prestiti obbligazionari.

Prima del collocamento di ieri, la controllata Sfi aveva emesso obbligazioni per un importo pari a 2 miliardi, di cui 1,5 miliardi ancora in essere.

Ifis, via all’accordo con Equita sui senior

Banca Ifis ha finalizzato un accordo con Equita Sim per la quotazione sul mercato secondario dei suoi titoli obbligazionari Senior Preferred. Le quotazioni avverranno attraverso l’utilizzo delle piattaforme finanziarie gestite da Euro Tlx e da Bmtf Bloomberg.

Equita Sim – si spiega in un comunicato – «agirà in qualità di Specialist/Liquidity Provider assicurando una costante presenza di quotazioni, sia in acquisto che in vendita, nei confronti degli investitori istituzionali e professionali, garantendo quindi una maggiore liquidità ai titoli quotati».

«La partnership con Equita Sim S.p.A ha l’obiettivo di garantire, in modo continuativo, un’adeguata liquidità agli strumenti obbligazionari emessi da Banca Ifis» spiega Saverio Bonavita, responsabile della Direzione Centrale Capital Markets di Banca Ifis. «La strategia di funding definita dalla Banca prevede una maggiore centralità e priorità dello strumento delle obbligazioni, da realizzarsi tenendo conto dell’evoluzione dei volumi complessivi della raccolta, del contesto di mercato, conseguendo nel contempo una riduzione del costo del funding», conclude Bonavita.

Ubi-Intesa, scontro sulle filiali Attesa per le mosse dei soci

Ubi: «Senza la soglia del 67% impossibile procedere alla cessione degli sportelli»
Ruolo decisivo del retail Ca’de Sass incontra le associazioni consumatori

Il duello tra Intesa e Ubi continua. All’indomani del varo dell’Offerta pubblica di scambio totalitaria lanciata da Ca’ de Sass (che in due giorni ha visto adesioni per lo 0,321%) sulle azioni Ubi, l’ex popolare torna alla carica per ribadire i motivi della sua bocciatura alla proposta di Intesa.

E così, in risposta a un comunicato diffuso lunedì dalla banca guidata da Carlo Messina, Ubi tiene a evidenziare in particolare come, qualora l’adesione all’offerta non superasse la soglia del 67%, Intesa non potrebbe procedere alla cessione dei previsti 532 sportelli a Bper, condizione questa prevista per evitare i rischi di concentrazione. «Nel caso in cui non venisse realizzata la fusione, Intesa non potrebbe legittimamente imporre a Ubi Banca di dare corso alla cessione del ramo bancario a Bper – si legge in una nota di Ubi – e conseguentemente alla cessione dei rami assicurativi a UnipolSai». Per Ubi, Intesa non potrebbe realizzare insomma operazioni «che violino i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della medesima» e che «contrastino con il suo interesse sociale».

Una lettura, questa, diametralmente opposta a quella di Ca’ de Sass. Che già lunedì in una nota aveva chiarito che anche in caso di un’adesione al 50% più un voto, la banca intende «esercitare la maggioranza dei diritti di voto in assemblea, potrà legittimamente nominare un nuovo Cda (con la partecipazione di consiglieri indipendenti come previsto dalla legge e dallo Statuto di Ubi)» ed eserciterà «attività di direzione e coordinamento» su Ubi su temi come il «controllo strategico, organizzativo e, più in generale, gestionale». Di fatto, Intesa, forte anche del sì della Bce all’operazione, è convinta di poter realizzare il deal in ogni caso. Come estrema ratio, peraltro, non è escluso che la banca valuti la cessione di propri sportelli a Bper, anche se il tema non è sul tavolo.

Si vedrà nelle prossime settimane cosa accadrà. Domani intanto è prevista una riunione del Consiglio della Fondazione Banca Monte di Lombardia, socio di Ubi al 4.9% circa, anche se è possibile che sia ancora interlocutoria. E sempre per domani è fissato un Cda di Intesa: in questo caso è in agenda un’informativa sullo stato dell’offerta, e in particolare sulle ultime evoluzioni, a partire dal comunicato emesso venerdì da Ubi.

In Borsa intanto le azioni Ubi rimangono a premio sull’Ops Intesa ma con un valore che si è ridotto rispetto al giorno prima. Ieri Intesa ha terminato le contrattazioni a 1,786 euro: sulla base di questo prezzo, il valore implicito riconosciuto a Ubi sarebbe pari a circa 3,04 euro. Poichè titolo dell’ex popolare ha chiuso in calo del 2% circa, a 3,14 euro, il premio rispetto ai valori dell’offerta ora è pari al 3,4%, in calo rispetto al 5,1% del giorno precedente.

Un ruolo decisivo nell’offerta lo avrà di certo il retail. Anche per questo Intesa Sanpaolo ieri ha incontrato le Associazioni dei consumatori, che hanno dichiarato, si legge in una nota di Intesa, di «volersi rendere parte attiva in merito alla trasparenza di tutta l’operazione, vigilando attraverso le proprie reti e favorendo la libertà di adesione all’Ops da parte dei piccoli azionisti risparmiatori».

Istat: una impresa su tre potrà chiudere

«L’impatto della crisi sulle imprese è stato di intensità e rapidità straordinarie, determinando seri rischi per la sopravvivenza: il 38,8% delle imprese italiane (pari al 28,8% dell’occupazione, circa 3,6 milioni di addetti) ha denunciato l’esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza nel corso dell’anno». Il quadro emerge da un’indagine sulle imprese sopra i tre addetti dell’Istat: «Il pericolo di chiudere è più altro tra le micro imprese (40,6%) e la piccole (33,5%) ma è «significativo» anche tra le medie (22,4%) e le grandi (18,8%). Oltre sei alberghi e ristoranti su dieci – scrive l’Istat – rischiano la chiusura entro un anno a seguito dell’emergenza Coronavirus mettendo in pericolo oltre 800 mila posti di lavoro. A rischio di sopravvivenza ci sono il 65,2% delle imprese di alloggio e ristorazione (19,6 miliardi di euro di valore aggiunto). A queste si aggiungono il 61,5% delle aziende dello sport, cultura e intrattenimento (con 3,4 miliardi di euro di valore aggiunto e circa 700 mila addetti).

L’Istituto di statistica, nella nota mensile sull’andamento dell’economia, vede a maggio «i primi segni di ripresa dei ritmi produttivi dopo le marcate contrazioni registrate a marzo e aprile. I dati su redditi, consumi e mercato del lavoro sembrano riflettere gli effetti delle politiche di contrasto alla crisi segnando, nel primo trimestre, un calo del reddito disponibile delle famiglie nettamente meno ampio rispetto a quello del Pil nominale e un deciso aumento della propensione al risparmio». A maggio, rispetto ad aprile, l’Istat sottolinea che sono aumentate le esportazioni extra-Ue mentre «a giugno il miglioramento della fiducia appare generalizzato tra i settori economici». Inoltre l’istituto sottolinea la «significativa crescita congiunturale delle vendite al dettaglio, con un parziale recupero degli acquisti di prodotti non alimentari. Prosegue invece – continua il testo della nota – la progressiva erosione dell’occupazione, seppure a ritmi moderati, mentre aumentano congiunturalmente le ore lavorate e il numero di persone in cerca di lavoro». Per i prezzi al consumo – aggiunge l’Istat – si è confermata la fase deflativa iniziata a maggio. In direzione opposta si sono mossi i prezzi nell’eurozona, ampliando la distanza che separa l’inflazione italiana da quella dei principali partner europei».

Bankitalia: colpito il reddito di metà della popolazione

Effetto pandemia. Secondo l’indagine straordinaria svolta tra aprile e maggio un terzo delle famiglie ha riserve per soli tre mesi. Quasi il 40% degli indebitati è in difficoltà con le rate del mutuo

Un quadro drammatico per le famiglie italiane a causa degli effetti del Covid-19. Limitate “riserve” economiche, reddito falcidiato, difficoltà a pagare il mutuo. La Banca d’Italia tra fine aprile e inizio maggio 2020 ha condotto un’indagine straordinaria sulle famiglie italiane per raccogliere informazioni qualitative sulla situazione economica e sulle aspettative durante la crisi legata alla pandemia. Ebbene, oltre a un diffuso calo nei redditi, «più di un terzo degli individui dichiara di disporre di risorse finanziarie liquide sufficienti per meno di tre mesi a coprire le spese per consumi essenziali della famiglia in assenza di altre entrate, un periodo compatibile con la durata del lockdown legato all’emergenza Covid-19». Questa quota supera il 50% per i disoccupati e per i lavoratori dipendenti con contratto a termine. Poco meno di un quinto dei lavoratori indipendenti e dei lavoratori dipendenti con contratto a termine si trova in questa condizione e contemporaneamente ha subito una riduzione di oltre il 50% del reddito familiare nei primi due mesi della emergenza sanitaria.

Utilizzando come riferimento una soglia di povertà relativa stimata nell’indagine 2016, la popolazione che non ha sufficienti risorse finanziarie per poter restare alla soglia di povertà per tre mesi in assenza di altre entrate raggiunge il 55%.Per il futuro circa la metà della popolazione si aspetta una riduzione del reddito familiare nei prossimi 12 mesi: solo il 7% ritiene che tra un anno il reddito della sua famiglia avrà subito un calo di oltre la metà rispetto a quello precedente l’emergenza. Anche tra coloro che riportano una caduta di oltre la metà del reddito negli ultimi 2 mesi, più della metà si aspetta che tra un anno il calo sarà ridimensionato. Va ricordato comunque che poco meno della metà degli individui dichiara che prima della pandemia arrivava alla fine del mese con difficoltà, con quote più elevate per i lavoratori dipendenti a termine e per i disoccupati. Inoltre quasi il 40% degli individui indebitati dichiara di avere difficoltà nel sostenere le rate del mutuo a causa della crisi: la quota è più elevata nel Centro e nel Sud. Solo un terzo di chi è in difficoltà con il pagamento delle rate del mutuo ha fatto ricorso o intende far ricorso alla moratoria mutui. Fra coloro che hanno un finanziamento per credito al consumo la percentuale di individui in difficoltà con il pagamento della rata è del 34%. L’emergenza sanitaria incide negativamente anche sulle aspettative di spesa: circa il 30% della popolazione dichiara di non potersi permettere di andare in vacanza la prossima estate.

Intanto l’Ocse diffonde le stime della disoccupazione, che nell’area raggiungerà il livello record del 9,4% entro il 2020 (quarto trimestre) e inizierà a diminuire solo nel 2021: per quanto riguarda l’Italia, che a febbraio 2020 era ancora ben al di sopra del livello pre-crisi 2008, dovrebbe raggiungere il 12,4% a fine 2020, «cancellando quattro anni di lenti miglioramenti. Se la pandemia sarà tenuta sotto controllo la disoccupazione dovrebbe, poi, scendere gradualmente all’11% entro la fine del 2021, comunque ben al di sopra del livello pre-crisi». Poi il tema degli interventi governativi. Sempre per l’Ocse in Italia, nonostante la serie di misure «senza precedenti prese per aiutare le imprese, i lavoratori e le loro famiglie», le richieste di sussidio di disoccupazione sono aumentate del 40% tra marzo e maggio. Insomma, l’aumento del numero di persone non occupate «è stato determinato principalmente dal mancato rinnovo di molti contratti a tempo determinato e dal congelamento delle assunzioni». In questo quadro «l’Italia deve agire rapidamente per aiutare i giovani a mantenere un legame con il mercato del lavoro, riprendendo e rinnovando significativamente il programma Garanzia giovani».

Ubi-Intesa, botta e risposta su fusione e cessioni a Bper

Continua il braccio di ferro tra Ubi e Intesa Sanpaolo mentre l’offerta pubblica di scambio sulla banca bresciano-bergamasca chiude il suo secondo giorno con adesioni pari allo 0,3% del capitale (l’Ops termina il 28 luglio). Ieri la banca guidata dal ceo Victor Massiah è tornata su uno dei punti-chiave dell’operazione che Intesa ha orchestrato con l’advisor Mediobanca e lo studio Pedersoli: la cessione di 532 sportelli di Ubi a Bper, anche se non potrà procedere alla fusione. Un passaggio che, però, ribadisce Ubi assistita da Credit Suisse e Goldman Sachs e dallo studio legale BonelliErede, non si può fare unilateralmente.

Ca’ de Sass «non potrebbe legittimamente imporre a Ubi Banca di dare corso alla cessione del ramo bancario» — scrive Ubi — e, conseguentemente, alla cessione dei rami assicurativi a UnipolSai», come proposto all’Antitrust, che comunque deve ancora pronunciarsi entro il mese sull’operazione e sugli eventuali rimedi da far adottare a Intesa Sanpaolo. Alla lla luce dei «diversi presidi posti dalla normativa», continua Ubi, la banca guidata da Carlo Messina non può imporre a Ubi «operazioni che violino i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della medesima e che contrastino con il suo interesse sociale» dato che l’istituto deve essere gestito «tutelando l’interesse di tutti gli azionisti».

Ubi interviene poi sul prezzo dell’offerta di scambio, 17 Intesa ogni 10 Ubi, ribadendo che non valorizzerebbe adeguatamente le sinergie indicate da Intesa Sanpaolo né il contributo di Ubi al valore complessivo della combined entity. Ubi ritiene che l’offerta sia sottostimata per 1,1 miliardi e che solo il 10% delle sinergie vada ai soci ex Ubi. Intesa Sanpaolo lunedì aveva replicato a Ubi che nelle valutazioni va considerato il premio pagato agli azionisti Ubi che è pari a 1,1 miliardi e che inoltre anche senza il 66,7% può procedere alla vendita delle filiali in quanto avrebbe direzione e coordinamento di Ubi.

Sempre ieri Intesa Sanpaolo ha incontrato le associazioni dei consumatori sulla Ops che — informa una nota della banca — hanno dichiarato di volersi rendere parte attiva in merito alla trasparenza dell’operazione. L’Adoc si è detta favorevole perché «banche di dimensioni maggiori garantiranno maggiore efficienza» mentre il Movimento Difesa del Cittadino (Mdc) teme «manovre di vero e proprio boicottaggio dell’Ops».

L’Europa taglia le stime sul Pil: Italia ultima, crollo dell’11,2%

L’Istat avverte: oltre un’azienda su tre rischia di non sopravvivere al post Covid

Peggio del previsto. «La pandemia ha colpito l’economia europea in modo più forte dell’atteso, anche se un cauto rimbalzo sta cominciando». Il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, nel presentare le previsioni d’estate della Commissione europea che aggiornano quelle di primavera, ha messo in evidenza come gli effetti e il recupero varino da Paese a Paese: «Contrazioni relativamente forti sono attese in Italia, Francia e Spagna, mentre contrazioni più ridotte si attendono in Germania, Olanda e Polonia».

Nel dettaglio, il Pil crollerà quest’anno nell’Eurozona dell’8,7% rispetto al 7,7% stimato a maggio e nell’Ue a 27 dell’8,3% rispetto al 7,4%. Anche la crescita nel 2021 sarà leggermente meno robusta. L’Italia subisce la frenata più grave: -11,2% quest’anno rispetto al -9,5% stimato in primavera, con una ripresa del 6,1% per il 2021 (era 6,5%). Dietro di noi la Spagna con -10,9%, la Croazia -10,8% e la Francia -10,6%.Tengono la Germania -6,3% e l’Olanda -6,8%. La migliore è la Polonia con un -4,6%. «L’Italia è stato il Paese con il periodo di chiusura dell’attività più prolungato — ha spiegato Gentiloni — l’ha introdotta per prima e ha rilasciato il confinamento più o meno in linea con gli altri Stati, per questo la situazione è quella che è».

Gli effetti li ha certificati l’Istat con un’indagine sulle imprese con oltre 3 addetti, da cui è emerso che oltre un’azienda su tre rischia la chiusura per il Covid. «L’impatto della crisi sulle imprese è stato di intensità e rapidità straordinarie, determinando seri rischi per la sopravvivenza — spiega l’istituto di statistica —: il 38,8% delle imprese italiane (pari al 28,8% dell’occupazione, circa 3,6 milioni di addetti) ha denunciato l’esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza nel corso dell’anno». Il pericolo di chiudere è più altro tra le micro imprese (40,6%) e le piccole (33,5%) ma è «significativo» anche tra le medie (22,4%) e le grandi (18,8%).

Per Bruxelles le prospettive di crescita in Italia «rimangono soggette a rischi al ribasso». Una prolungata crisi del mercato del lavoro, una volta scadute le misure di emergenza e la riduzione del «sentiment» dei consumatori, potrebbe frenare la ripresa prevista. Per la Commissione il Pil reale non tornerà al livello del 2019 entro la fine del 2021. È probabile che la produzione industriale prenda il ritmo più rapidamente, mentre il turismo e molti altri servizi relativi ai consumatori sono destinati a riprendersi più gradualmente.

La situazione, per Gentiloni, rimane caratterizzata da «disparità, disuguaglianze e insicurezza crescenti». Ecco perché «è così importante raggiungere rapidamente un accordo sul piano di ripresa proposto dalla Commissione», che i capi di Stato e di governo negozieranno insieme al bilancio Ue 2021-2027 nel prossimo Consiglio europeo del 17 e 18 luglio.

Virus, l ’Italia chiusa in casa scopre la finanza digitale Moneyfarm cavalca l’onda

Al via l ’alleanza con la piattaforma Fabrick per offrire alle banche le gestioni patrimoniali.
Moneyfarm si allea con la piattaforma fintech Fabrick per portare le gestioni patrimoniali digitali alle banche italiane: con alcune delle quali sta trattando futuri accordi distributivi. È la conferma che l’impatto del Covid sui clienti del credito è travolgente, dopo anni di comportamenti più legati alla tradizione e imperniati sulla rete fitta degli sportelli.
Il “tutti a casa” degli italiani tra marzo e aprile ha accelerato la corsa della finanza digitale e dei servizi online. L’osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano, in un’indagine su 51 istituti nostrani, ha notato tra aprile 2019 e aprile 2020 l’impennata dei canali digitali: +17% gli utenti unici online rispetto all’aprile scorso, +32% le transazioni remote nel mese, +75% i clienti acquisiti senza bisogno di interazione fisica. La rimonta dei canali digitali è confermata nei raffronti con l’estero. Boston Consulting, in una recente ricerca tra 5 mila consumatori in 15 Paesi, ha messo gli italiani ai primi posti per attività bancaria online nel lockdown: il 51% degli intervistati (al secondo posto dietro i singaporiani) ha intensificato il rapporto online con la banca, il 54% (e qui siamo al terzo posto dietro Singapore e Hong Kong) ha usato di più i servizi via cellulare, il 27%, che è più della media globale, prevede di ridurre o cessare la frequentazione della filiale, e un 58% è pronto ad aprire un conto digitale.
Con l’intesa alla firma Moneyfarm pubblicherà sulla piattaforma aperta di Fabrick – già integrata con il 97% degli istituti italiani – le proprie “Api” (programmi software che connettono tra loro le applicazioni), e ciò consentirà agli intermediari interessati di integrare rapidamente e a costi ridotti i suoi servizi, basati sulle gestioni patrimoniali passive in Etf, pur modulabili secondo gradi di rischio. Il settore del risparmio gestito, finora solo lambito dall’innovazione digitale, è atteso da notevoli cambiamenti: basti a dirlo il fatto che i fondi di tipo azionario costano al cliente circa 200 punti base annui, mentre i gestori digitali richiedono commissioni più vicine all’1% l’anno. Finora, senza i rischi futuri di “cannibalizzare” i prodotti bancari, Moneyfarm ha superato un miliardo di euro di masse in gestione con le proprie forze, oltre che con l’intesa siglata nel 2019 con Poste italiane. Nei primi cinque mesi 2020, mentre i gestori tradizionali perdevano miliardi di raccolta, ha aumentato del 130% i flussi e del 30% i clienti. «Questa ondata inattesa di digitalizzazione e i problemi legati al credito rappresentano un momento critico per gli intermediari italiani – dice Giovanni Daprà, ad di Moneyfarm – . Con questo accordo siamo pronti a rendere disponibile la nostra offerta a chi vorrà integrare agilmente soluzioni moderne e innovative tramite future partnership». Paolo Zaccardi, ad di Fabrick, nota che «il contesto è cambiato, ed è improbabile soddisfare le aspettative di digitalizzazione di un numero crescente di clienti bancari senza combinare singole eccellenze di diversi attori. L’accordo con Moneyfarm, il primo nel risparmio italiano in ottica open, esprime quindi il cuore della nostra filosofia, e arricchisce la nostra piattaforma di soluzioni per intermediari alle prese con i consumatori evoluti».

L’Europa punta sull’idrogeno per avere energia più verde

L’Europa scommette sull’idrogeno per centrare gli obiettivi climatici del Green deal. La rivoluzione energetica del Continente parte domani, con la proposta firmata dalla commissaria Ue all’Energia del team di Ursula von der Leyen, l’estone Kadri Simson. Il punto d’arrivo è far crescere l’idrogeno fino al 14% del mix energetico europeo nel 2050, anno in cui l’Unione si è impegnata a tagliare completamente le emissioni inquinanti.
Una strategia – finanziata attraverso consistenti fondi europei che coinvolge praticamente tutti i settori industriali, dal siderurgico alla chimica fino ai trasporti su gomma, navi e aerei. Con l’Italia che può giocare un ruolo chiave: non solo con la conversione dell’Ilva in un’impresa completamente verde alimentata dall’idrogeno grazie a una serie di sovvenzioni europee e nazionali, ma potenzialmente trasformandosi nell’hub europeo del gas.
Domani Bruxelles approverà la Comunicazione sull’integrazione dei sistemi energetici europei, che sarà concretizzata con una serie di atti legislativi a partire dal prossimo anno, e la Strategia per l’idrogeno, completata dal lancio contestuale dell’Alleanza europea per l’idrogeno, un partenariato tra istituzioni Ue e industria nel quale per l’Italia ci sarà anche Snam, in un contesto in cui Eni ed Enel avranno un ruolo centrale. La nuova Alleanza è chiamata a facilitare la realizzazione dei progetti e il raggiungimento degli obiettivi. Il tutto per dimostrare che il Covid non blocca il Green deal, anzi, lo rilancia come opportunità economica e necessità climatica.
La prima parte della strategia energetica lanciata da Simson punta a rinforzare l’elettrico per trasporti, industria e riscaldamento. Così come scommette su biometano, carburanti sintetici, ed economia circolare per ricavare energia sfruttando le nuove tecnologie nella transizione energetica.
Quindi per la prima volta l’Europa vira e investe sull’idrogeno, che avrà un ruolo chiave, e insostituibile, per raggiungere gli obiettivi del Green deal, ovvero un taglio delle emissioni pari al 50-55% entro il 2030 e del 100% nel 2050. L’Europa punta a dare all’idrogeno un ruolo attivo nel nostro mix energetico già entro 10 anni. L’obiettivo è produrre 6 Gigawatt e un milione di tonnellate di idrogeno verde entro il 2024 (oggi siamo a un Gw). Per passare a 40 Gigawatt, 10 milioni di tonnellate, nel 2030. Significherebbe tagliare 100 tonnellate di Co2, ovvero una sforbiciata del 5% delle emissioni totali dell’Unione. Con l’obiettivo di contribuire al 14% del consumo energetico continentale entro il 2050, quando secondo le stime esisterà un mercato globale dell’idrogeno da 630 miliardi all’anno.
L’idrogeno verde, e in una prima fase anche quello a basso contenuto di carbonio catturato dai combustibili fossili, sarà finanziato da diverse voci del Recovery Fund, dal programma Horizon e da altri fondi europei. Per Bruxelles, entro il 2030 serviranno 120-130 miliardi. Per questa ragione, la Commissione creerà specifiche linee guida per gli aiuti di Stato: i governi potranno finanziare l’H2 con sussidi pubblici.
Secondo Bruxelles l’idrogeno rappresenta anche un’opportunità geopolitica per ridefinire i rapporti con Nord Africa e Ucraina, dotati delle risorse rinnovabili (vento e sole) per produrre l’H2 e lasciarsi alle spalle i fossili. L’Europa potrebbe vendere ai Paesi vicini la tecnologia necessaria alla produzione e quindi reimportare l’energia usando le attuali tubature del gas. Ecco perché l’Italia, con la sponda di Bruxelles, immagina di trasformarsi nell’hub verde del Continente, sfruttando i gasdotti sottomarini già oggi in funzione e mantenendo il suo ruolo strategico al di là del Canale di Sicilia trasportando poi l’energia in Europa e nel resto del mondo.

Intesa Sp., partita l’ops su Ubi

È partita ieri l’offerta pubblica di scambio volontaria (Ops) promossa da Intesa Sanpaolo sulla totalità delle azioni di Ubi Banca lo scorso 17 febbraio che, al netto di eventuali proroghe, si concluderà il 28 luglio (data di pagamento per il corrispettivo prevista il 3 agosto).

Nella giornata di ieri, secondo le comunicazioni di Borsa Italiana, sono state portate in adesione all’offerta 1.961.815 azioni pari allo 0,171% del capitale. L’offerta prevede 17 azioni proprie di Intesa per ogni 10 titoli di Ubi B. e qualora dovesse andare in porto darebbe vita a un campione nazionale con oltre 1.100 miliardi di euro di attività finanziarie della clientela.

In mattinata, Intesa ha precisato tre concetti chiave sull’offerta, ovvero che le stime sulle sinergie sono superiori a quelle previste da Ubi, che il dividendo offerto è congruo e che acquisendo almeno il 50% del capitale più un’azione di Ubi Banca (soglia di partecipazione di controllo autorizzata dalla Bce), potrà esercitare la maggioranza dei diritti di voto in assemblea e potrà legittimamente nominare un nuovo cda (con la partecipazione di consiglieri indipendenti come previsto dalla legge e dallo statuto di Ubi Banca).

Intanto, ieri si è svolto il cda della Fondazione Banca del Monte di Lombardia, mentre giovedì è previsto un consiglio di amministrazione (cda) di Intesa Sanpaolo che ha all’ordine del giorno anche un aggiornamento agli amministratori sull’Ops. Dopo questo cda si dovrebbero esprimere sulla questione il sindacato azionisti Ubi, il cosiddetto Patto dei Bresciani, che detiene circa l’8% del capitale di Ubi e che non ha ancora sciolto ufficialmente la riserva. Nella serata di ieri è arrivata anche una nota della Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo presieduta da Giandomenico Genta: dopo l’esame del cda sull’ops si riaggiorna.

L’Ops ha preso il via in questo clima, dopo che venerdì il cda di Ubi Banca ha bocciato l’Ops, bollandola come «non concordata e non conveniente per i soci» e ha presentato l’aggiornamento del piano industriale al 2022 che prevede un utile di 562 mln a fine business plan rispetto ai 665 mln stimati in precedenza con una riduzione di circa 1 punto percentuale di Rote. Il capitale in eccesso distribuibile rispetto a una soglia minima di Cet1 del 12,5% ammonta per il triennio 2020-2022 a circa 840 milioni di euro, equivalenti a un ammontare cumulato di oltre 73 centesimi per azione nel periodo. Secondo indiscrezioni stampa la Bce avrebbe acceso un faro sull’Update al business plan per capire come in vista di un utile inferiore la banca possa aumentare le cedole. Da molti osservatori questa mossa è stata letta come un incentivo in più ai soci per rifiutare l’offerta di Intesa.

Intanto, il Patto Car, indicato da molti come il fortino della «resistenza» all’Ops, perde Mario Cera che venerdì ha presentato le dimissioni dal comitato direttivo. Una mossa che è stata letta come lo sfaldamento del fronte del «no» all’Ops dopo che il presidente della Fondazione Banca del Monte di Lombardia, Aldo Poli, ha rilasciato alcune dichiarazioni in cui apre alla valutazione dell’offerta di Intesa. Non va dimenticato che le fondazioni azioniste della banca guidata dal ceo, Victor Massiah nei giorni scorsi hanno nominato l’advisor Societé Generale Cib per la valutazione degli elementi economico-finanziari dell’Ops proprio in previsione del prospetto di offerta. E hanno affidato al presidente il mandato per gli ulteriori contatti e approfondimenti necessari per le definitive valutazioni, riservandosi la decisione al momento in cui saranno disponibili tutti i necessari elementi.

L’offerta ha già incassato il via libera di Consob al documento di offerta e al prospetto informativo (condizione necessaria per il lancio dell’offerta). Va ricordato, inoltre, che Intesa Sanpaolo, la banca guidata dal ceo, Carlo Messina, ha già incassato il via libera di Banca d’Italia e di Bce e, nei giorni scorsi, anche quello dell’Istituto per la Vigilanza sulle assicurazioni (Ivass), le autorizzazioni preventive all’acquisizione indiretta di una partecipazione di controllo in BancAssurance Popolari e di partecipazioni qualificate in Aviva Vita e Lombarda Vita.

Ca’ de Sass contestualmente ha ricevuto anche l’autorizzazione preventiva dell’autorità lussemburghese Commission de Surveillance du Secteur Financier all’acquisizione indiretta di una partecipazione di controllo in Pramerica Management Company, con sede in Lussemburgo. A questo punto, a livello autorizzativo – manca solo il verdetto dell’Antitrust.

Intanto, nella giornata di ieri, in cui è partita l’Ops di Intesa Sanpaolo sulla totalità delle azioni di Ubi Banca il cda e il consiglio generale della Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo (Crc) si sono riuniti per esaminare la documentazione finora pubblicata dall’offerente Intesa Sanpaolo e dall’emittente Ubi Banca relativa all’offerta pubblica di scambio lanciata lo scorso 17 febbraio. Alle riunioni, si legge in una nota, hanno partecipato Societé Generale, l’advisor finanziario scelto da Fondazione Crc e Fondazione Banca del Monte di Lombardia per assisterle nel percorso dell’Ops, e lo Studio legale Pavesio e Associati, consulente legale della Fondazione Crc. Le riunioni hanno avuto l’obiettivo di supportare gli organi della Fondazione Crc nell’esame delle condizioni economiche e dei termini dell’offerta, anche alla luce del piano industriale aggiornato di Ubi Banca, presentato venerdì che evidenzia nuove prospettive e scenari meritevoli di approfondimento. Il consiglio generale e il cda si riaggiornano.