“Il dolore interiore e l’alterazione della vita quotidiana costituiscono danni diversi, perciò solo autonomamente risarcibili, sempre che rigorosamente provati”.
Questo, in estrema sintesi, quanto ribadito dalla Suprema Corte nella recentissima pronuncia del 14 novembre scorso.
Il danno non patrimoniale, inteso dalla Corte come “unitarietà rispetto alla lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante non suscettibile di valutazione economica”, comporta sempre che nella liquidazione dell’effettivo pregiudizio subito dalla vittima, nella sua componente non patrimoniale, il giudice debba comunque tenere in considerazione, per nell’unitarietà, tutte le conseguenze effettivamente derivate al danneggiato dall’evento lesivo. L’accertamento e la liquidazione del danno non patrimoniale costituiscono infatti, come ribadito più volte, “questioni di apprezzamento in concreto”, mai in astratto.
La portata pratica di tale principio, pertanto, comporta dunque che, pur se con il duplice limite di evitare duplicazioni risarcitorie e/o e consentire risarcimenti cd. bagattellari, nessuna componente deve mai restarne esclusa; pena, in caso contrario, il rischio di incorrere nel grave errore di “sostituire una (meta)realtà giuridica ad una realtà fenomenica”.
Così disponendo, la Cassazione ha dunque predicato che se il dolore interiore e l’alterazione della vita quotidiana sono stati dalla vittima rigorosamente provati, tali componenti devono essere risarcite entrambe autonomamente, costituendo appunto danni diversi.
Cass., Sez. III Civ., 14 novembre 2017, n. 26805
Benedetta Minotti – b.minotti@lascalaw.com
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