La responsabilità per violazione di copyright può ricadere anche su chi pubblica un collegamento ipertestuale ad un’opera protetta. Così ha deciso una recente sentenza della Corte di Giustizia CE (C-160/15) destinata a far discutere con la quale il giudice europeo ha stabilito che chi pubblica su internet un link ad un’opera dell’ingegno risponde per violazione del diritto d’autore al pari di chi pubblica l’opera “linkata”.
Tutto nasce dall’interpretazione che si vuole dare all’art. 3 della Direttiva 2001/29/CE (che la Corte è stata chiamata ad interpretare) il quale stabilisce un principio apparentemente lineare e indiscutibile, e cioè che l’autore di un’opera dell’ingegno ha il diritto esclusivo di decidere se, dove, quando e in che limiti pubblicarla.
«[…] gli autori [hanno] il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro opere, compresa la messa a disposizione del pubblico delle loro opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente».
Come è agevole notare, la portata della norma appena richiamata dipende interamente dal significato che si vuole attribuire alla locuzione «comunicazione al pubblico».
In proposito non v’è dubbio che possa considerarsi comunicazione al pubblico la pubblicazione su un sito internet di una foto, un testo o un brano musicale. Ma che dire di un link a tali contenuti? In altri termini, la pubblicazione di un link ad un opera protetta, equivale alla pubblicazione dell’opera stessa e, quindi, ad una c.d. comunicazione al pubblico?
Se la risposta fosse no, ciò vorrebbe dire che il titolare di un diritto d’autore potrebbe agire solo contro colui che pubblica l’opera e che nulla potrebbe fare contro chi pubblica un link che a quell’opera rinvia. Pertanto, l’enorme effetto moltiplicatore che i link produrrebbero in termini di diffusione non autorizzata dell’opera e, quindi, di lesione del diritto d’autore, sarebbe sostanzialmente incontenibile.
Se la risposta fosse sì – e cioè se per comunicazione al pubblico possa intendersi anche la pubblicazione di un link che rinvia all’opera protetta –, si avrebbe tuttavia un effetto forse ancora più dirompente. Può risultare infatti difficile, se non impossibile, verificare se il sito Internet verso il quale un link rinvia dia accesso ad opere protette e, se del caso, sia stata autorizzata la loro pubblicazione su Internet dai titolari dei diritti d’autore. Una verifica del genere risulterebbe ancora più difficile qualora tali diritti siano stati oggetto di sottolicenze. Inoltre, il contenuto di un sito Internet cui un collegamento ipertestuale rinvia può essere modificato dopo la creazione di tale collegamento, includendo opere protette illecitamente pubblicate, senza che colui che ha pubblicato il link ne sia necessariamente a conoscenza.
Consapevole delle conseguenze delle due posizioni estreme, la risposta della Corte è stato un “nì”. Secondo il giudice, affinché si possa parlare di comunicazioneal pubblico occorre verificare le circostanze concrete entro cui è avvenuta la pubblicazione del link. Essa costituisce atto di comunicazione al pubblico solo nel caso in cui:
- 1. colui che ha effettuato il collegamento ipertestuale ad un’opera è a conoscenza del fatto che detta opera è stata pubblicata su Internet senza l’autorizzazione del titolare dei diritti d’autore;
- 2. attraverso il collegamento ipertestuale vengano eluse «misure restrittive» create dal titolare dei diritti per limitare l’accesso all’opera;
- 3. la pubblicazione del collegamento ipertestuale sia stata effettuata «a fini lucrativi».
Quanto al punto 1), la conoscenza può anche presumersi ricorrendo ad un criterio di normale ragionevolezza, e può comunque essere accertata a seguito di una comune diffida inviata dal titolare del diritto d’autore.
Quanto al punto 2), l’esistenza di misure restrittive è facilmente rilevabile di volta in volta verificando se il sito sorgente a cui si rinvia abbia accesso libero o consenta un accesso limitato al solo pubblico di abbonati.
Quanto al punto 3), invece, si rischia di riconoscere il caratterelucrativo pressoché sempre. Si può infatti sostenere senza difficoltà che quasi ogni sito abbia fini lucrativi, anche solo per via della pubblicazione di banner pubblicitari o perché, anche se avente mero carattere istituzionale o informativo, descrive e pubblicizza prodotti e servizi offerti sul mercato dall’azienda proprietaria del sito. Né può negarsi che la pubblicazione dei link ipertestuali rende un sito più appetibile per il pubblico incrementandone il traffico utenti.
Corte di giustizia dell’Unione europea dell’8 settembre 2016 (Caso C-160/15) (leggi la sentenza)Francesco Rampone – f.rampone@lascalaw.com