01.02.2017 Icon

La Cassazione sul default della Repubblica Argentina

Con recente sentenza la Suprema Corte si è espressa nuovamente sulla responsabilità risarcitoria dell’intermediario finanziario in merito alla negoziazione dei titoli obbligazionari emessi dalla Argentina, confermando che prima del 2001 erano assenti sintomi che ne facessero presagire il default.

A seguito di ricorso per decreto ingiuntivo proposto dall’investitore, il Tribunale di primo grado – sulla ritenuta nullità dell’ordine di investimento – ingiungeva all’intermediario finanziario il pagamento in via restitutoria del capitale investito in titoli obbligazionari emessi dalla Argentina.

In sede di opposizione e, successivamente, in sede di appello, le domande dell’investitore venivano tuttavia rigettate. L’investitore, pertanto, proponeva ricorso in Cassazione articolando diversi profili di censura riguardanti vizi processuali e, soprattutto, doglianze relative al mancato accoglimento delle domande di annullamento dell’ordine di acquisto dei titoli obbligazionari, nonché profili connessi all’adempimento informativo dell’intermediario finanziario.

La Suprema Corte conferma che la corte distrettuale ha congruamente giustificato il suo convincimento in ordine alla assenza di rischi di insolvenza dell’emittente, facendo leva sulla circostanza per cui “non vi sono elementi di prova apprezzabili per ritenere che, al momento dell’acquisto, la Banca, al di là del maggior rischio che giustificava (secondo quanto risulta per testi esser stato rappresentato al [investitore]) il rendimento più alto, potesse essere in grado di conoscere le condizioni del successivo default dello Stato argentino, sfuggite alle principali agenzie di rating”.

Con riguardo al dedotto conflitto di interessi, derivante dalla negoziazione in contropartita diretta dei titoli, la Corte afferma che tale modalità di negoziazione, essendo “una delle modalità previste dalla legge con le quali l’intermediario può dare corso ad un ordine di negoziazione di strumenti finanziari (cfr. Cass.n.11876/16; n.28432/11)”, non determina di per sé violazione dell’art. 27 del Regolamento Consob n. 11522/1998.

Infine, con riferimento all’apprezzamento del nesso causale, la Corte conferma la necessità di un giudizio “controfattuale” diretto a valutare la sussistenza del nesso eziologico: nel caso in esame tale giudizio non regge già per il sol fatto che la rischiosità dell’investimento era da escludersi (“D’altra parte, non può comunque non rilevarsi come le considerazioni svolte nella sentenza impugnata – non validamente censurate dal ricorrente (cfr.retro n.2) – in ordine alla non prevedibilità, al momento della negoziazione, del rischio default poi concretizzatosi valgano anche ad eliminare in radice uno degli elementi essenziali dell’enunciato “controfattuale”, sopra riassunto, in base al quale il ricorrente intenderebbe attribuire all’inadempimento della Banca ai propri doveri informativi sulla rischiosità del titolo il ruolo di causa diretta del danno da lui subito. Anche le doglianze in esame non meritano quindi accoglimento”).Cass., Sez. I, 20 gennaio 2017, n. 1579 (leggi la sentenza)Carlo Giambalvo Zillic.zilli@lascalaw.com

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