L’istituto della chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità dell’espropriazione, introdotto dal decreto legge 132/2014 convertito con legge 162/2014, ha il primario scopo di tutelare il buon andamento della giustizia.
Così stabilisce la recentissima pronuncia del Tribunale di Pavia datata 7 luglio 2016, escludendo che l’art. 164 bis disp. att. c.p.c. abbia come unico scopo il bilanciamento di interessi tra il creditore che con l’esecuzione forzata tenta un soddisfacimento del suo credito, ed il debitore il quale ha interesse ad evitare la “svendita” dell’immobile sul mercato.
La disposizione codicistica è chiara nello stabilire che il processo esecutivo deve chiudersi quando, tenuto conto dei costi per la sua prosecuzione, delle probabilità di liquidazione del bene pignorato e del suo presumibile valore di realizzo, è da ritenere che non sarà possibile conseguire un “ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori”. La ratio è quella di evitare procedure esecutive eccessivamente protratte nel tempo, dispendiose e comunque non deputate al soddisfacimento degli interessi creditori. Tale soddisfacimento riguarda i crediti azionati con la procedura esecutiva nonché le spese, non potendo considerarsi “ragionevole” un soddisfacimento ridotto al recupero delle sole spese sostenute per l’esecuzione forzata.