Cass., 24 maggio 2012, Sez. I, n. 8236Massima: “La mera allegazione del fatto che il cliente abbia consegnato al promotore finanziario somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest’ultimo sarebbe legittimato a riceverle non vale, in caso d’indebita appropriazione da parte del promotore, a interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell’attività del promotore finanziario e la consumazione dell’illecito, e non preclude, pertanto, la possibilità d’invocare la responsabilità solidale dell’intermediario preponente; né un tal fatto può essere addotto dall’intermediario come concausa del danno subito dall’investitore in conseguenza dell’illecito consumato dal promotore, al fine di ridurre l’ammontare del risarcimento dovuto, perché la normativa è destinata a tutelare gli interessi del risparmiatore e non può essere quindi interpretata nel senso che da essa derivi un onere di diligenza a carico del medesimo, la cui violazione gli sia addebitabile a titolo di colpa concorrente o esclusiva. Ad una diversa conclusione è dato pervenire soltanto qualora emerga la prova della collusione, o quantomeno della fattiva acquiescenza, del cliente alla violazione delle regole di condotta da parte del promotore, o comunque quando le circostanze del caso in esame siano tali da implicare che il dovere di comportarsi secondo buona fede e di non pregiudicare ingiustamente le ragioni dell’altro contraente avrebbe imposto al cliente di adottare maggiore diligenza, non prestandosi al compimento di operazioni anomale quando egli sia perfettamente a conoscenza, per personale e pluriennale esperienza, del complesso iter funzionale alla sottoscrizione dei programmi di investimento.” (leggi la sentenza per esteso)
In tema di intermediazione finanziaria, la mera allegazione del fatto che il cliente abbia consegnato al promotore finanziario somme di denaro con modalità difformi da quelle con cui quest’ultimo sarebbe legittimato a riceverle non vale, in caso d’indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore, ad interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell’attività del promotore finanziario e la consumazione dell’illecito, e non preclude, pertanto, la possibilità d’invocare la responsabilità solidale dell’intermediario preponente; né un tal fatto può essere addotto dall’intermediario come concausa del danno subito dall’investitore in conseguenza dell’illecito consumato dal promotore, al fine di ridurre l’ammontare del risarcimento dovuto, perché la richiamata normativa è destinata a tutelare gli interessi del risparmiatore e non può essere quindi interpretata nel senso che da essa derivi un onere di diligenza a carico del medesimo, la cui violazione gli sia addebitabile a titolo di colpa concorrente o esclusiva (cfr. Cass. 7 aprile 2006, n. 8229, e Cass. 24 luglio 2009, n. 17393).
Ad una diversa conclusione è dato pervenire soltanto qualora emerga la prova della collusione, o quantomeno della fattiva acquiescenza, del cliente alla violazione delle regole di condotta da parte del promotore (cfr. Cass. n. 17393/09, cit., o comunque quando le circostanze del caso in esame siano tali da implicare che il dovere di comportarsi secondo buona fede e di non pregiudicare ingiustamente le ragioni dell’altro contraente avrebbe imposto al cliente di adottare maggiore diligenza, non prestandosi al compimento di operazioni anomale quando egli sia perfettamente a conoscenza, per personale e pluriennale esperienza, del complesso iter funzionale alla sottoscrizione dei programmi di investimento (cfr. Cass. 11 giugno 2009, n. 13529). Ma, perché ciò accada, non è sufficiente la mera consapevolezza da parte dell’investitore della violazione delle regole di comportamento cui il promotore avrebbe dovuto attenersi per la tutela dei risparmiatori, occorrendo invece che i rapporti tra promotore ed investitore presentino connotati di anomalia, se non addirittura di connivenza o di collusione in funzione elusiva della disciplina legale; e spetta all’intermediario l’onere di provare che l’illecito sia stato consapevolmente agevolato in qualche misura dall’investitore (cfr. Cass. 19 marzo 2010, n. 6708), non potendo la collusione o la consapevole e fattiva acquiescenza del cliente all’illecito essere presunte sulla base della sola circostanza che l’equivalente pecuniario dell’investimento sia stato conferito con modalità difformi da quelle previste dal regolamento Consob (cfr. Cass. 25 gennaio 2011, n. 1741), ma essendo invece necessario che detta circostanza si accompagni con altri elementi significativi, quali ad esempio il numero e la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, la durata nel tempo del rapporto tra investitore e promotore, il valore complessivo delle operazioni poste in essere, l’esperienza acquisita dal cliente nell’investimento in titoli finanziari, ed in particolare la sua conoscenza del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento (cfr. Cass. 24 marzo 2011, n. 6829).
(Paolo Francesco Bruno – p.bruno@lascalaw.com)