11.03.2016 Icon

Il prestanome può essere coinvolto nella bancarotta

L’amministratore societario che funge da “testa di legno” risponde del reato di bancarotta fraudolenta se consapevole delle condotte illecite perpetrate dall’amministratore effettivo.Cass., Sez. V Pen., 16 febbraio 2016 n. 6337 (leggi la sentenza)

I Giudici della Suprema Corte hanno confermato che, in ambito di bancarotta fraudolenta, il soggetto investito in modo esclusivamente formale della carica di amministratore – quale mero prestanome – risponde come gli altri dei reati contestati a titolo di omissione.

La recente pronuncia della Quinta Sezione Penale conferma la decisione della Corte d’Appello di Lecce, ritenendo ampiamente dimostrato, nel caso sottoposto al suo esame, il sostanziale e attivo ruolo dell’imputato quale amministratore della società fallita.

Poiché, con riferimento all’elemento oggettivo che integra il reato, concorrono alla consumazione del delitto tutti coloro che hanno, in qualunque modo, apportato un concreto contributo alla produzione del dissesto dell’azienda, ad avviso della Corte, l’imputato – che si è posto quale prestanome di altri soggetti che agivano come amministratori di fatto – é chiamato a rispondere dei reati contestati a titolo di omissione, in quanto la semplice accettazione della carica formale attribuisce alla cosiddetta “testa di legno” doveri di vigilanza e controllo la cui violazione comporta responsabilità.

Il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione è oltretutto un reato di pericolo, nel senso che, essendo l’oggetto della tutela identificabile nell’interesse dei creditori all’integrità dei mezzi di garanzia, la fattispecie prende in considerazione non solo la sua effettiva lesione bensì anche il pericolo conseguente alla sola possibilità che questa si verifichi.

Per quanto concerne l’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie, così chiarisce la sentenza: “il dolo necessario per la configurabilità della bancarotta patrimoniale è quello generico, integrato dalla volontà di distaccare il bene oggetto di distrazione dal patrimonio della fallita nella prevedibilità del pericolo che tale operazione può determinare per gli interessi dei creditori”. In altri termini, la norma non richiede la precisa intenzione di creare un pregiudizio ai creditori tramite operazioni sul patrimonio della società, essendo sufficiente la consapevolezza che tali operazioni siano idonee a causare un danno.

Per concludere, l’amministratore di diritto risponde unitamente all’amministratore di fatto per non aver impedito l’evento che aveva l’obbligo di impedire, essendo sufficiente, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo distragga, occulti, dissimuli, distrugga o dissipi i beni sociali.

11 marzo 2016Luciana Cipollal.cipolla@lascalaw.comFabrizio Manganiellof.manganiello@lascalaw.com