Nel disegno di legge avente ad oggetto misure contro la corruzione e l’illegalità nella pubblica amministrazione (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”) – approvato dal Senato il 15/06/2011, approvato con modifiche dalla Camera dei Deputati il 14/06/2012 e ritrasmesso quindi al Senato, dove è in corso di esame in Commissione (di seguito “ddl” ) – vengono delineate, tra l’altro, le seguenti fattispecie di reato:
– induzione indebita a dare o promettere utilità (nuovo art. 319-quater del codice penale)
– corruzione tra privati (nuovo testo dell’art. 2635 del codice civile).
L’art. 21 del ddl[1] ne prevede l’inserimento, rispettivamente, nell’art. 25 (la cui rubrica si modificherebbe in “Concussione e corruzione, induzione indebita a dare o promettere utilità” e nell’art. 25-ter ( “Reati societari”) del D.Lgs. n. 231/2001: dalla commissione di tali reati può pertanto derivare la responsabilità amministrativa degli enti, nei termini e nei limiti previsti nel suddetto decreto legislativo.
Il ddl recepisce – tra l’altro – talune richieste e prescrizioni contenute nella Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione del 31/10/2003, ratificata ai sensi della L. 03/08/2009 n. 116 e nella Convenzione penale sulla corruzione, approvata dal Consiglio d’Europa il 27/01/99 e recentissimamente ratificata – dopo oltre 12 anni … – dalla L. 28/06/2012 (G.U. n. 173 del 26/07/2012).
Il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui al nuovo art. 319-quater[2] è quello commesso da “un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno (c.d. concussione per induzione) a dare o promettere indebitamente a lui o a un terzo denaro o altra utilità.” La pena applicabile è la reclusione da tre a otto anni, mentre il privato che dà o promette denaro o altra utilità al pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio è punito con la reclusione fino a tre anni.
L’art. 20 del ddl[3] riformula il testo dell’art. 2635 c.c., modificandone altresì la rubrica in “Corruzione tra privati“ (in luogo dell’attuale ”Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità”).
Nel nuovo testo dell’articolo del Codice civile risulta ampliato l’elenco dei possibili autori del reato de quo, che possono essere – oltre ai soggetti individuati nel primo comma (amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci e liquidatori) – anche coloro i quali sono sottoposti alla direzione o alla vigilanza di questi ultimi.
Tale ampliamento tiene conto (sia pure non in toto) del rilievo in proposito specificamente sollevato nel recente Rapporto Greco[4], con riferimento al reato di corruzione privata descritto nel vigente art. 2635 c.c., ritenuto non conforme agli articoli 7 e 8 della Convenzione penale sulla corruzione come sopra citata[5].
L’inserimento tra i reati societari di cui all’art. 25-ter del D.Lgs. 231/01 viene disposto con riferimento ai “casi previsti dal terzo comma dell’art. 2635 c.c.”: la responsabilità amministrativa ex D.Lgs. 231/01 conseguente alla commissione del reato di corruzione tra privati – e quindi l’eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote – sarebbe pertanto configurabile a carico della società cui appartiene il soggetto corruttore, ossia colui che “.. dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma” dell’art. 2635 c.c. (soggetti corrotti).
L’introduzione e/o l’ampliamento dei suddetti delitti nel sistema penale italiano, il loro inserimento nell’elenco dei reati “presupposto” di cui al D.Lgs. 231/01, unitamente alle altre disposizioni del ddl anticorruzione – nel testo da ultimo approvato dalla Camera dei Deputati – colmano ritardi e pongono in parte rimedio ai disallineamenti dell’Italia rispetto alle prescrizioni contenute nelle convenzioni internazionali in materia di lotta alla corruzione sottoscritte dal nostro Paese.
L’approvazione del provvedimento di cui trattasi in tempi rapidi costituirebbe certamente un significativo passo avanti nell’approntamento di misure più efficaci di contrasto alla corruzione – attiva e passiva, sia nel settore pubblico che in quello privato – fenomeno purtroppo largamente presente in Italia.
(Diana Strazzulli – d.strazzulli@lascalaw.com)
[1] ddl – Art. 21 (Modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231)
1.Al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 25:
1) al comma 3, dopo le parole: «319-ter, comma 2,» sono inserite le seguenti: «319-quater»;
2) nella rubrica, dopo la parola: «Concussione» sono inserite le seguenti: «, induzione indebita a dare o promettere utilità»;
b) all’articolo 25-ter, comma 1, dopo la lettera s) è aggiunta la seguente:
«s-bis) per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell’articolo 2635 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote».
[2] ddl – Art. 19 (Modifiche al codice penale)
1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
…. ( omissis)
i) dopo l’articolo 319-ter è inserito il seguente:
«Art. 319-quater. – ( Induzione indebita a dare o promettere utilità).- Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni.
Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni».
[3] ddl – Art. 20 (Modifica dell’articolo 2635 del codice civile)
1. L’articolo 2635 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 2635. – (Corruzione tra privati). – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.
Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.
Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste.
Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni».
[4] Consiglio d’Europa – Rapporto Greco (Group of States against corruption) di valutazione sull’Italia – Tema I Incriminazioni – Terzo ciclo di valutazione – Strasburgo, 23/03/2012.
[5] Si riportano gli artt. 7 e 8 della Convenzione penale sulla corruzione fatta a Strasburgo il 27/01/99:
Articolo 7 - Corruzione attiva nel privato
Ciascuna Parte adotta i provvedimenti legislativi e di altro tipo che si rivelano necessari per configurare in quanto reato in conformità al proprio diritto interno, quando l'atto è stato commesso intenzionalmente nell'ambito di un'attività commerciale, il fatto di promettere, offrire o dare direttamente o indirettamente qualsiasi indebito vantaggio ad una persona che dirige un ente privato o vi lavora, per se stessa o per altra persona affinché compia o si astenga dal compiere un atto, ciò in trasgressione dei suoi doveri.
Articolo 8 - Corruzione passiva nel privato
Ciascuna Parte adotta i provvedimenti legislativi e di altro tipo che si rivelano necessari per configurare in quanto reato in conformità al proprio diritto interno, quando l'atto è stato commesso intenzionalmente nell'ambito di un'attività commerciale, il fatto per ogni persona che dirige un ente privato o vi lavora, di sollecitare o ricevere direttamente o tramite terzi, qualsiasi indebito vantaggio o di accettarne l'offerta o la promessa, per se stessa o per altra persona al fine di compiere o astenersi dal compiere un atto, ciò in trasgressione dei suoi doveri.