08.07.2016 Icon

Condannato il professionista che ha concorso nell’emissione di fatture false

Il professionista che, incaricato di curare la contabilità di un’azienda, prospetti al proprio cliente la possibilità di simulare operazioni inesistenti al fine di evadere il fisco è responsabile di concorso nel reato di emissione di fatture false.La Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Arezzo, ha ridotto la pena a carico del professionista condannato in primo grado per concorso nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

In particolare, l’imputato avrebbe suggerito ad alcuni clienti la possibilità di inserire a bilancio una serie di costi mai sostenuti, con lo scopo di frodare il fisco.

L’imputato ha proposto così ricorso per Cassazione sostenendo, in estrema sintesi, che la Corte d’Appello avrebbe effettuato un’errata ricostruzione dei fatti, laddove ha basato la propria decisione sul ritrovamento delle false fatture presso lo studio del professionista.

A sostegno della propria decisione, i giudici di legittimità hanno richiamato il principio secondo cui a coloro i quali non siano parte dell’organigramma societario ma partecipino attivamente al disegno criminoso atto all’evasione è imputabile il concorso nel reato di frode fiscale.

Infatti, secondo l’articolo 8 del Dlgs 74/2000, il reato in questione è un reato di pericolo e, pertanto, ai fini della sua configurabilità è sufficiente la sola emissione o il rilascio delle fatture.

Diversamente, invece, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti richiede che tali falsi documenti siano anche inseriti in una dichiarazione fiscale presentata alla Pubblica Amministrazione.

Inoltre, la Suprema Corte aveva già affermato, nel corso del tempo, che, ai fini del concorso nel reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, il possesso di fatture false e del timbro dell’emittente presso lo studio costituisce prova inequivocabile della partecipazione alle condotte criminose contestate (Cassazione n. 1684/2013).

Sulla base di tali presupposti giuridici, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, precisando che, in relazione sia all’ingente numero di violazioni poste in essere che al perdurare nel tempo della condotta illecita, un professionista diligente avrebbe potuto ragionevolmente rilevare il carattere fittizio delle fatture in questione.

Cass., III Sez. Pen., 28 aprile 2016, n. 17418 (leggi la sentenza) Fabrizio Manganiellof.manganiello@lascalaw.com Davide Manzod.manzo@lascalaw.com