La Corte di Cassazione è intervenuta sul tema dei compensi agli amministratori, problematica assai frequente soprattutto laddove il rapporto di mandato tra società ed amministratori si interrompe.
Un amministratore infatti aveva promosso decreto ingiuntivo nei confronti di una srl per ottenere il pagamento dei compensi per la carica di consigliere di amministrazione della società medesima. Quest’ultima aveva fatto opposizione adducendo, tra le altre cose, l’inesistenza del suddetto credito per effetto di accordo di rinuncia ai compensi raggiunto fra tutti i consiglieri, accordo che poteva vincersi dalle scritture contabili e/o da prove per testi.
Il giudice di merito invece aveva rigettato l’opposizione, ritenendo illegittima la rinuncia e non accoglibile la prova per testi.
Secondo la Corte (sentenza del 13 novembre 2012, n. 19714) non solo la rinuncia al compenso è da intendersi pienamente legittima ma, quale atto unilaterale, esso non richiede altresì alcun vincolo di forma ed è suscettibile di essere provato anche per testimoni.
Ciò in quanto il rapporto tra amministratore e società deve essere inquadrato nell’alveo di un rapporto professionale autonomo ed il diritto al compenso ha natura disponibile; in virtù di ciò deve riconoscersi come pienamente legittima l’eventuale previsione di gratuità dell’incarico (ancorchè inserita in statuto e/o convenuta successivamente tra le parti interessate).
Conforme anche la sentenza del 1° aprile 2009, n. 7961, secondo la quale, se per i sindaci è lo stesso codice civile che, all’art. 2402, prevede l’onerosità dell’incarico, per gli amministratori non vi è una norma specifica in tal senso, essendo libera l’assemblea dei soci di determinare il relativo compenso.
(Maria Giulia Furlanetto – m.furlanetto@lascalaw.com)