Cass., 9 maggio 2013, Sez. I, n. 11025 (leggi la sentenza per esteso)
In data 9 maggio 2013 la Suprema Corte di Cassazione, I Sezione Civile, ha pronunciato sentenza (n.11025/13) di accoglimento di un ricorso avverso decreto di rigetto del Tribunale di Viterbo relativamente a un reclamo proposto da una società avverso decreto di esecutività del riparto finale di un fallimento.
Dal riparto, infatti, era emerso che il G.D. aveva attribuito alla creditrice, ammessa al passivo in via ipotecaria, l’importo ricavato dalla vendita dell’immobile della fallita e non anche quanto incassato dal fallimento a titolo di canoni di locazione dell’immobile stesso.
Il Tribunale di Viterbo aveva evidenziato come il fallimento non potesse essere equiparato al pignoramento, basandosi tale ragionamento sulla convinzione che i casi nei quali la suddetta equiparazione esiste, gli stessi sono previsti esplicitamente dalla legge.
Al riguardo la Suprema Corte ha ritenuto che le censure mosse dalla ricorrente avverso il decreto fossero fondate e come tali meritevoli di accoglimento.
Nello specifico il Giudice Supremo ha ribadito il principio sulla base del quale la prelazione del creditore ipotecario ammesso al passivo di un fallimento debba ritenersi estesa ai frutti civili prodotti dall’immobile ipotecato dopo la sentenza dichiarativa del fallimento, non sussistendo nell’ordinamento una previsione contraria o incompatibile con detta estensione nell’ambito dell’esecuzione individuale.
L’estensione della prelazione sui frutti civili anche nel fallimento, ha trovato conferma nella disposizione ante riforma contenuta nell’art 107 comma 4 L.F. secondo cui il curatore dovesse “tener un conto speciale delle vendite dei singoli immobili e dei frutti percepiti sugli stessi dalla data di dichiarazione del fallimento e che la somma ricavata dalla vendita dei frutti fosse distribuita col prezzo degli immobili relativi”.
A tale previsione, a detta della Corte Suprema, poteva darsi una spiegazione solo ritenendo che anche ai frutti ricavati da un immobile dovesse estendersi la prelazione ipotecaria.
Inoltre, e più genericamente, è stato ritenuto che, in assenza di disposizioni ostative, non vi fossero elementi contrari a che le norme in teme di esecuzione singolare potessero trovare applicazione alla procedura fallimentare ritenuta “una complessa forma di esecuzione, non isolata dal resto dell’ordinamento e alla quale possono applicarsi nell’esecuzione fallimentare quelle norme dell’esecuzione individuale non incompatibili”.
Possiamo concludere, quindi, che nell’ambito dell’esecuzione fallimentare possono trovare applicazione tutte quante le norme dettate per l’esecuzione individuale che non abbiano ad oggetto materie non disciplinate in modo particolare dalla legge fallimentare, anche implicitamente.
(Stefano Flagiello – s.flagiello@lascalaw.com)