02.05.2012 Icon

La Corte d’appello di Milano sul danno riflesso subito dai genitori a causa di un sinistro

Il giovane G. restava gravemente invalido a seguito di un sinistro stradale. La tipologia di lesioni, prevalentemente neurologiche e psichiche, impedivano a G. di intraprendere una vita autonoma e lo costringevano a restare presso il nucleo familiare di origine rendendo, purtroppo, la vita quotidiana dei genitori un vero e proprio calvario.

G. e i suoi genitori D., tutti nostri Clienti, agivano in giudizio contro il responsabile del sinistro al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti.

Il Tribunale di Monza – sezione distaccata di Desio non accoglieva integralmente la domanda dei genitori di G., ritenendo che il danno non patrimoniale riflesso lamentato non fosse meritevole di risarcimento in quanto l’invalidità riportata dal giovane G. non era tale da comportare un impegno continuo dei genitori o da comprimere in modo rimarchevole la possibilità di un sereno rapporto familiare. Il Tribunale si limitava a riconoscere alla madre di G. un modesto danno biologico per la depressione insorta in conseguenza delle lesioni del figlio.

I signori D. proponevano appello contro la sentenza del Tribunale sostenendo che in primo grado il Giudice avesse sottovalutato l’entità dei danni patiti dalla famiglia di G., omettendo di esaminare i postumi di G. da un punto di vista qualitativo più che quantitativo ed il loro impatto sulla serenità familiare.

In appello veniva disposta una nuova CTU medico-legale su G., che accertava una  “condizione contrassegnata da deficit delle funzioni neuropsichiche di memoria e di pianificazione-astrazione frontale, produttiva di alterazioni comportamentali e reazione ansioso-depressiva”, con un conseguente aggravamento non solo quantitativo ma anche qualitativo del danno subito da G.

Pertanto, anche alla luce della seconda CTU, era evidente che il padre e la madre di G., dopo avere sopportato lo shock iniziale alla vista del ragazzo sfigurato dall’incidente, essersi prodigati per mesi giorno e notte per assistere l’infortunato prima in ospedale e poi a casa,  ed avere gestito per anni tutto l’infinito calvario delle visite, degli accertamenti, delle terapie, erano costretti ad affrontare ogni giorno la convivenza con un malato psichico grave.

Abbiamo pertanto avanzato nuovamente in appello la domanda di risarcimento del danno riflesso sostenendo che il danno non patrimoniale del congiunto (“danno morale riflesso”) è ristorabile non solo in caso di perdita ma anche di mera lesione del rapporto parentale la cui sussistenza nel caso di specie era indiscutibile alla luce degli oggettivi riflessi dell’invalidità di G. sulla serenità familiare e sui rapporti con i genitori.

La Corte d’appello di Milano ha riformato la sentenza del Tribunale ed ha liquidato ad entrambi i genitori di G., in via equitativa, il danno riflesso subito a causa del sinistro che ha leso gravemente il figlio ritenendo che “la difesa degli appellanti principali ha efficacemente spiegato cosa drammaticamente significhino, calati nella vita quotidiana, i termini tecnici utilizzati dal CTU per definire la patologia di cui oggi soffre G. ed il calvario a cui i suoi genitori sono stati e sono tutt’oggi sottoposti, soprattutto dopo che, persa ogni speranza di miglioramento hanno dovuto prendere atto che il loro figlio resterà per sempre menomato nel fisico e nella psiche e non avrà mai una vita normale”.

La sentenza della Corte d’appello costituisce un successo importante giacché la giurisprudenza è generalmente restia a riconoscere il danno parentale quando la vittima principale non abbia riportato un’invalidità permanente gravissima (almeno pari al 70%). Nel caso di specie a G. è stato riconosciuto un danno biologico del 40%, ma il tipo di lesioni prevalentemente psichiche e l’impatto che queste hanno sulla vita quotidiana della famiglia  hanno convinto la Corte d’appello a riconoscere ai genitori una somma considerevole a titolo di  danno non patrimoniale (c.d. danno riflesso).

Inoltre, la Corte d’appello ha riformato anche il capo della sentenza di primo grado che aveva attribuito a G. una quota di concorso di colpa (1/3) per le lesioni subite, a causa del mancato uso del casco. In particolare, la Corte, partendo dal presupposto che l’onere di dimostrare l’incidenza causale del mancato uso del casco gravava sui convenuti, non avendo questi soddisfatto detto onere probatorio, ha escluso il concorso di colpa ex art. 1227 c.c. di G..

(leggi la sentenza per esteso)

(Maria Valeria De Leo – v.deleo@lascalaw.com)