Questo è uno dei principi affermati dal Tribunale di Sondrio, nell’ambito di una causa passiva che ha visto coinvolto un istituto di credito, citato in giudizio da una società correntista ed assistito dallo Studio.
In particolare, con riguardo alle c.m.s., il Giudice ha sottolineato di aderire “all’orientamento maggioritario sviluppatosi in materia, secondo cui la c.m.s. rappresenta la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma, utilizzata per riequilibrare i costi sostenuti dalla banca per approvvigionarsi del denaro da mettere a disposizione del cliente (Cass. Civ. 18.1.2006 n. 870)”. Per tale motivo, la commissione di massimo scoperto non può essere considerata nulla per asserita carenza di causa.
Con riferimento invece ad altra eccezione usualmente sollevata dai clienti, ossia quella relativa alla presunta applicazione di interessi usurari, il Giudice ha precisato di non poter condividere il calcolo prodotto da parte attrice, in quanto “effettuato sulla base di una formula diversa da quella indicata nelle Istruzioni della Banca d’Italia, così determinando una disomogeneità dei dati di riferimento rispetto al calcolo del Tasso Effettivo Globale Medio, da cui si ricava il tasso soglia (cfr. Cass. Civ. 22.6.2016 n. 12965)”. Analogamente, il G.U. ha ritenuto infondata la dedotta usura soggettiva, per totale carenza di prova.
Si legge, infatti, “nel caso di specie non è stata fornita alcuna allegazione e prova circa i presupposti costitutivi di tale fattispecie, con particolare riferimento alla coscienza e volontà in capo alla banca convenuta dell’illiceità degli interessi applicati, unitamente alla conoscenza e all’approfittamento dell’altrui stato di necessità”.
Tribunale di Sondrio, 27 luglio 2017, n. 332
Simona Daminelli – s.daminelli@lascalaw.com
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