12.11.2025

Ex Ilva, il governo coinvolge Eni I sindacati lasciano il tavolo

  • Il Sole 24 Ore

È ancora un rebus il salvataggio dell’ex Ilva. L’ennesimo vertice andato in scena ieri a Palazzo Chigi, coordinato dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Alfredo Mantovano, non è stato risolutivo. Sono anzi cresciute le tensioni con i sindacati che hanno annunciato la rottura del tavolo: «proposte del Governo inaccettabili». In una nota Palazzo Chigi esprime rammarico per la posizione dei sindacati confermando la disponibilità a proseguire approfondimenti tecnici. Il Governo aveva illustrato la proposta di un piano operativo a “ciclo corto” con rimodulazione dell’assetto produttivo funzionale a una decarbonizzazione in quattro e non più otto anni e con attività sugli impianti che porteranno ad aumentare la Cig da 4.500 a 5.700 unità dal 15 novembre a fine dicembre, per poi crescere fino a 6mila lavoratori a gennaio. A emergere poi, nel resoconto fatto dal ministro per le Imprese e il made in Italy Adolfo Urso, è il potenziale interesse di tre investitori. Oltre ai fondi americani Bedrock e Flacks Group, con offerte pari a zero euro per gli asset e limitate al riconoscimento del valore di magazzino, si staglia un quarto player straniero, con profilo industriale, con cui è in corso un dialogo che Urso definisce coperto dal massimo riserbo.

Secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, nelle scorse settimane ci sarebbero stati contatti con Qatar Steel, anche se il governo non conferma che si tratterebbe del terzo soggetto in campo. La compagnia siderurgica qatarina, industrialmente piccola ma ben provvista di liquidità, non avrebbe ancora presentato una vera manifestazione di interesse ma sarebbe stata invitata a visionare il dossier. Di certo, i tempi per chiudere la procedura di cessione di Acciaierie d’Italia si allungano e arrivati a questo punto potrebbe essere inevitabile garantire una nuova dote pubblica per la continuità operativa dell’azienda, da inserire magari in legge di bilancio.

Una priorità, nel frattempo, è delineare il futuro costo di gas via condotte terrestri, sia in relazione alla centrale termoelettrica sia all’impianto di preridotto (Dri) da realizzare a Taranto in quattro anni. Il governo avrebbe chiesto un intervento tecnico dell’Eni. Secondo ambienti vicini all’esecutivo, l’azienda di San Donato Milanese sarebbe stata sondata per pensare ad una fornitura di gas che possa stabilizzare il costo dell’energia, una delle maggiori criticità del dossier. Soltanto con la prospettiva di una riduzione strutturale – o, per meglio dire, una mitigazione non temporanea – dei costi industriali collegati all’acciaieria e alla sua auspicata metamorfosi verde, con l’introduzione ipotetica dei forni elettrici e del Dri, sarebbe infatti possibile fugare i dubbi che tutti gli investitori, finora coinvolti o anche soltanto interpellati, hanno sollevato. Gli americani di Bedrock, sollecitati dal governo a usare con minore severità il taglio dei posti di lavoro (da oltre 10mila a 3mila nella loro prima proposta, poi 5mila nella seconda), continuano a chiedere molti soldi pubblici. Anche sul tema energetico. Peraltro, il costo dell’energia è considerato una condizione da affrontare – non a parole, ma con numeri concreti – da tutti i siderurgici italiani alle cui porte il governo Meloni ha bussato in queste ultime settimane, non ultimo Arvedi, che ciclicamente ricompare nelle ambizioni dei ministri e dei tecnici.

A ogni modo lo stato delle trattative preoccupa i sindacati, consapevoli dei massicci tagli di personale prospettati e scettici sulle prospettive delineate dal ministero in relazione a un assorbimento degli esuberi, o almeno di una parte di essi, in nuove attività industriali che dovrebbero sorgere nell’area di Taranto. La richiesta che accomuna Fim-Cisl, Fiom-Cgli e Uilm, anche se con sfumature e accenti diversi, torna a essere quella di coinvolgere lo Stato.