23.11.2016 Icon

Opposizione a decreto ingiuntivo e mancata mediazione in appello

Il Tribunale fiorentino ha stabilito, tramite la sentenza qui richiamata, che in caso di mancato esperimento della mediazione disposta dalla Corte d’Appello, nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la conseguenza non può che essere la stessa del primo grado, ossia l’improcedibilità della causa di appello e, dunque, dell’opposizione.

Si legge, infatti, nella decisione: “L’invio delle parti in mediazione (c.d. mediazione delegata o disposta dal giudice) costituisce potere discrezionale dell’ufficio che può essere esercitato “valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti”, anche in fase di appello, sempreché non sia stata tenuta l’udienza di precisazione delle conclusioni. Ove la mediazione venga disposta, il suo esperimento “è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” (art.5, II co. D.Lgs. citato). Ne segue che il mancato esperimento della mediazione vizia irrimediabilmente il processo, impedendo l’emanazione di sentenza di merito.
(…) Ne segue, quindi, l’applicazione della sanzione della improcedibilità della “domanda giudiziale”, giusto il disposto della norma citata, laddove, come nel caso di specie, la mediazione non sia stata esperita.

Ciò posto, fermo restando che ai sensi dell’art. 5, co. II, citato, il mancato esperimento della mediazione delegata dal giudice, così come nel caso di mediazione ante causam, comporta la ”improcedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”, occorre chiedersi se la sanzione processuale in questione riguardi direttamente la domanda sostanziale, azionata dall’attrice in primo grado, secondo un’interpretazione senz’altro più lineare sotto il profilo letterale, ovvero l’impugnazione proposta. (…) si ritiene che l’interpretazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. N. 28/10 e s.m.i. in materia di conseguenze dell’omessa mediazione non possa prescindere dalla particolare natura dei giudizi cui essa si riferisce. Tale approccio metodologico è stato già affermato da questo giudice nella sentenza 30.10.2014, reperibile agevolmente su internet, nella per larga parte analoga materia dell’opposizione a D.I., con soluzione che è stata condivisa da numerose pronunce di merito, e dalla stessa S.C. con la sentenza n. 24629/15 del 7.10-3.12.2015, sia pure, in forza di percorso interpretativo parzialmente diverso.
Deve pertanto ritenersi che nei procedimenti di appello, così come nell’opposizione a D.I. in primo grado, la locuzione “improcedibilità della domanda giudiziale” debba interpretarsi alla stregua di improcedibilità/estinzione dell’impugnazione (o dell’opposizione nel procedimento ex art. 645 c.p.c.) e non come improcedibilità della originaria domanda sostanziale attorea (ovvero della domanda di condanna di cui all’originario ricorso monitorio). E ciò per le evidenziate ragioni sistematiche che, diversamente, porterebbero ad interpretare l’art. 5, II co. D. Lgs. citato, in modo incoerente e dissonante con il sistema processuale. La correttezza di tale soluzione ermeneutica è confermata dagli effetti “abnormi” che si avrebbero adottando la diversa interpretazione. Quanto sopra vale, non solo, quando appellante è l’originario attore in primo grado, ovvero nell’opposizione a decreto ingiuntivo il creditore opposto, attore in senso sostanziale, ma anche nel caso contrario, quando cioè la parte che appella sia il convenuto del giudizio di prime cure, ovvero l’opponente nel giudizio ex art. 645 c.p.c. (convenuto sostanziale), come nella fattispecie. Nel primo caso sarebbe evidente l’irrazionalità della diversa soluzione che, individuando l’oggetto dell’improcedibilità nell’originaria domanda sostanziale proposta, avrebbe come effetto quello, in caso di omesso esperimento della mediazione, di porre nel nulla una sentenza sfavorevole allo stesso appellante (originario attore) per una omissione imputabile al medesimo. Il tutto con l’innegabile vantaggio di poter riproporre la medesima domanda sostanziale in nuovo giudizio di primo grado, con, di fatto, “riapertura” dei termini decadenziali assertivi e probatori e conseguimento di nuove ed ulteriori chanches di ottenere una pronuncia di merito favorevole. In caso invece di sentenza favorevole all’originario attore, e quindi appellata dal convenuto in primo grado, si verrebbe poi a porre a carico del primo, parte appellata, oneri del tutto contrastanti con i principi generali del processo di appello (artt. 338, 348, Ico. c.p.c.). In sostanza l’appellato, titolare della pretesa sostanziale fatta valere in giudizio, sarebbe onerato di esperire la mediazione al fine di conservare l’efficacia della sentenza di primo grado ad egli, in ipotesi, favorevole, che altrimenti essa sarebbe travolta. In altre parole si porrebbe a carico dell’appellato l’onere di contribuire a far giungere il processo di impugnazione al suo esito fisiologico, e cioè alla rivalutazione della decisione di prime cure, attività rispetto alla quale il medesimo non ha certo interesse”.

Trib. Firenze, 13 ottobre 2016Simona Daminellis.daminelli@lascalaw.com

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