23.09.2016 Icon

Concorso tra la sottrazione fraudolenta e la bancarotta

La normativa fiscale è preposta a sanzionare condotte che pregiudicano l’interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, mentre quella fallimentare l’interesse del ceto creditorio di massa al soddisfacimento dei propri singoli diritti. Pertanto, è configurabile il concorso tra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione.

Il Tribunale di Udine ha rigettato l’istanza di riesame proposta dall’amministratore di una società fallita avverso il decreto di sequestro preventivo che aveva ad oggetto beni sottratti alla società medesima.

Avverso tale provvedimento, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, ritenendo errata la decisione del Tribunale secondo cui è ammissibile la configurazione giuridica del concorso formale tra il delitto di bancarotta per distrazione e quello di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

A parere del ricorrente, infatti, la prima condotta avrebbe dovuto assorbire la seconda, dal momento che i fatti materiali contestati erano assolutamente identici.

In sede di ricorso, inoltre, veniva rilevato che, essendo quella fallimentare e quella tributaria entrambe fattispecie sanzionatorie speciali, la prima dovrebbe considerarsi “più speciale” e perciò applicabile in via esclusiva.

Infine, in considerazione del contrasto giurisprudenziale in materia, veniva richiesto che la questione fosse rimessa alle Sezioni Unite.

La Suprema Corte ha evidenziato come il motivo dedotto dal ricorrente riguardasse un’unica questione giuridica, ossia se fosse possibile o meno configurare il concorso formale tra il reato di natura fiscale ed il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale previsto dalla Legge Fallimentare.

Ciò posto, i Giudici di legittimità hanno sancito come non possa affatto affermarsi che tali norme regolino la “stessa materia”, in quanto risulta evidente che quella fiscale è preposta a sanzionare condotte che pregiudichino l’interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, quella fallimentare l’interesse del ceto creditorio di massa al soddisfacimento dei propri singoli diritti.

Infatti, “ciò che maggiormente distingue i due reati è comunque il bene giuridico protetto, come sopra si è individuato, che rende la norma penale tributaria per così dire “specialissima” ed impedisce il suo assorbimento in quella fallimentare quale “meno speciale” sia sul piano oggettivo sia sul piano soggettivo”.

Pertanto, allineandosi ai precedenti giurisprudenziali più recenti e ritenendo di non dover rimettere la questione alle Sezioni Unite, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto.

Cass., III Sez. Pen., 27 gennaio 2016, n. 3539 (leggi la sentenza)Fabrizio Manganiellof.manganiello@lascalaw.com Davide Manzod.manzo@lascalaw.com