24.07.2012 Icon

Ancora incertezza nonostante il rispetto dei limiti normativi alle immissioni rumorose

Cass., 25 giugno 2012, Sez. II, n. 10587Massima:  “Hanno finalità e campi di applicazione distinti l’articolo 844 Cc, da un lato, e, dall’altro, le leggi e i regolamenti che disciplinano le attività produttive e che fissano le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità in materia di immissioni rumorose (segnatamente il Dpcm 01.03.91): il primo è posto  a tutela del diritto di proprietà ed è volto a disciplinare i rapporti di natura patrimoniale tra i privati proprietari di fondi vicini, i secondi hanno invece carattere pubblicistico, perseguendo finalità di interesse pubblico e operano nei rapporti tra i privati e la pubblica amministrazione. Ne consegue che i parametri fissati dalle norme speciali a protezione dell’ambiente e di esigenze della collettività, pur potendo essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l’intollerabilità delle immissioni, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile, potendo quest’ultimo pervenire al giudizio di intollerabilità, ex articolo 844 Cc, delle immissioni, ancorché contenute nei limiti di detti parametri, sulla scorta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica.”(leggi la sentenza per esteso)

La Suprema Corte con la sentenza n. 10587 del 25 giugno 2012, si è occupata ancora una volta della tanto dibattuta problematica delle immissioni ex art. 844 del codice civile.

La vicenda in commento trae origine da un controversia tra vicini risalente a circa un quarto di secolo fa, come si evince dalla citazione in sentenza di un’ispezione giudiziale disposta dal pretore del tempo ed effettuata addirittura già nel lontano 1988.

A parte questa breve sottolineatura dell’ultraventennale durata di tutto l’iter giudiziario, per arrivare nel caso concreto sino alla decisione dei giudici del Palazzaccio, non si può non evidenziare come viene confermato un orientamento nella giurisprudenza di legittimità, per niente rassicurante per il cittadino o per le imprese, nel caso in cui questi dovessero essere accusati di disturbare la quiete del proprio vicino.

La Cassazione infatti  ritorna sul concetto della tollerabilità delle immissioni, cui fa riferimento la sopra citata norma codicistica, ed afferma che il giudice di merito nel decidere su tale questione può, con suo prudente apprezzamento, considerare  la particolarità della situazione concreta ed i criteri fissati dall’art. 844 c.c., senza in ciò essere vincolato dai parametri previsti da norme speciali a protezione dell’ambiente e delle esigenze della collettività.

Le norme speciali cui fa riferimento la menzionata sentenza sono il D.P.C.M. 1 Marzo 1991 riguardo ai “Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno” ed il D.P.C.M. 14 Novembre 1997 riguardo alla “Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore”.

Ebbene, non basta quindi che il cittadino o le imprese rispettino i limiti di emissioni previsti dalla suddetta normativa , ma per essere sicuri di non violare alcuna norma, né civile né penale, poiché nei casi dei quali si discorre, ravvisandosene i presupposti, potrebbe eventualmente trovare applicazione anche l’art. 659 del codice penale sul “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”,essi dovrebbero anche premurarsi di verificare che il rumore da loro prodotto ed immesso nell’atmosfera, non superi una “certa” tollerabilità, che tanto “certa” appunto non è,  in quanto non è dato comunque sapere a priori il limite ammissibile della stessa.

In caso di controversia, infatti, sarà solo la discrezionalità del magistrato, secondo i criteri fissati dall’art. 844 c.c., ad indicare quale è limite di tollerabilità da applicare al caso concreto al suo vaglio.

Tutto ciò porta incertezza soprattutto per quelle “esigenze della produzione” che proprio il medesimo art. 844 c.c., al suo secondo comma, impone al giudice di contemperare con le ragioni della proprietà.

Quello che ci si auspicherebbe è che proprio in virtù della presenza nel nostro ordinamento giuridico, come sopra riportato, di limiti e valori delle emissioni ed immissioni sonore, si facesse ricorso proprio a tali parametri, per definizione “certi”, per stabilire la tollerabilità anche ai sensi dell’art. 844 c.c.

Nei  giudici di merito si comincia in verità ad intravedere un’apertura nel senso sopra indicato e, in conclusione,  si riporta quanto si evidenzia in un interessante e recente provvedimento del Tribunale di Brindisi del  19.12.2011, nel quale viene affermato, sia pure ancora “timidamente”, che “I criteri stabiliti dalla normativa pubblicistica, come ad esempio, i criteri stabiliti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991, in materia di limiti massimi di esposizione al rumore, benché dettati per la tutela generale del territorio, possono essere utilizzati come parametro di riferimento per stabilire l’intensità e, di riflesso, la soglia di tollerabilità delle immissioni rumorose nei rapporti tra privati.” Peccato che il predetto giudice di merito nella stesura del suo provvedimento  non si sia fermato qui, invece di specificare subito dopo che  “Ciò, purchè, però, considerati (n.d.r. i suddetti limiti) come un limite minimo e non massimo…”.

Un’occasione, quest’ultima, persa per cominciare a fare breccia nella “coriacea” giurisprudenza sull’art. 844 c.c., che continua a non tenere in debito conto le importanti “esigenze della produzione” nei rapporti tra privati, sia pure nel rispetto delle ragioni della proprietà!

 (Fabio Carrozzo – f.carrozzo@lascalaw.com)